“Mi voglio confessare” disse la bambina. “Toccamelo” rispose il prete

[ Rassegna stampa

Da: http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2009/01/23/mi-voglio-confessare-disse-la-bambina.-toccamelo-disse-il-prete

A Verona non si fanno proprio mancare niente, diciamolo. Dalle aggressioni razziste a quelle fasciste è tutto un gran divertimento. La novità consiste nella scoperta di una banda di preti e "fratelli laici" pedofili che per anni hanno impunemente stuprato, molestato, tastato, palpeggiato, sodomizzato, bambini e bambine che erano sotto la loro responsabilità in un istituto per sordomuti/e.
In effetti questa cosa a Verona mancava e perciò forse hanno provveduto. Non sia mai che in un villaggio vacanze per fascisti, razzisti e moralisti che se la prendono con le prostitute per ragioni di "decoro", manchi l’elemento sorpresa. Quello che viene portato ad animare le feste mentre gli astanti già strofinano le mani come bruno vespa pregustando l’ora del divertimento.
Un parco giochi per sette nazifasciste, perversi occulti, sporcaccioni nascosti. Eccola Verona in tutto il suo splendore di ipocrisia e perbenismo, di nasini all’insu’ delle signore impellicciate e di indifferenza per ogni aggressione o morte che avviene per mano dei suoi rampolli.
Il cerchio si chiude davvero con questa storia e finalmente abbiamo capito tutto.
L’istituto è l’Antonio Provolo di Verona. I luoghi in cui si sono compiute le violenze secondo la testimonianza – scritta e filmata – di 60 persone sarebbero lo stesso istituto, la Chiesa Santa Maria del Pianto, alla colonia estiva di Villa Cervi di San Zeno di Montagna, nella stessa residenza del vescovo (ultimo video, ultima testimonianza). Implicati 25 religiosi che dalla fine degli anni ’50 al 1984 avrebbero abusato di tanti bambini e bambine. La testimonianza riguarda 60 persone (ma potrebbero essercene molte di più) che si sono sentite incoraggiate dalle affermazioni di condanna del papa per la pedofilia dei preti e che hanno provato quindi a portare avanti una denuncia che non aveva alcuna pretesa di risarcimento. Non hanno chiesto soldi ne’ possono pretendere una sanzione legale perchè il reato è comunque caduto in prescrizione.
Il loro interesse, soprattutto per i preti e i frati laici ancora in vita, è di far conoscere la storia e di evitare che questi individui ricoprano ancora incarichi di qualunque genere.
Il punto chiave della storia è infatti che alcune delle persone accusate – sebbene vecchie – sono ancora legate all’istituto con compiti di dirigenza.
Dice l’espresso: "Oggi l’Istituto Antonio Provolo ha cambiato completamente struttura e missione. Le iniziative per il sostegno ai sordomuti sono state ridimensionate e vengono finanziate anche dalla Regione Veneto. Adesso l’attività principale è il Centro educativo e di formazione professionale, gestito interamente da laici, che offre corsi d’avanguardia per giovani ed è specializzato nella riqualificazione di disoccupati. Al vertice di tutto ci sono sempre i religiosi della Congregazione della Compagnia di Maria per l’educazione dei sordomuti, che dipendono direttamente dalla Santa Sede. Alla Congregazione si sono rivolti gli ex allievi chiedendo l’allontanamento dei sacerdoti chiamati in causa."
Insomma è una storia tremenda, fatta di reticenze e di prudenze. Di scarica barile – per questioni di competenze giurisdizionali tra la curia vescovile e il dicastero dei religiosi e di accuse reciproche. Il vescovo dichiara di non saperne niente. Peccato ci siano sessanta tra uomini e donne che sono stati in quell’istituto in un periodo medio che va dai 6 ai 17 anni e che secondo i loro racconti ne hanno viste di tutti i colori:
sodomie; masturbazioni non autorizzate e richieste di rapporti orali; un prete in particolare aveva il piacere di toccare più volte il seno delle bambine sorde che andavano da lui in confessione; la confessione era ispiratrice di altre fantasie, poteva capitare che un prete tirasse fuori il pene e chiedesse alla bambina che aveva davanti di toccarglielo; c’era chi andava a trovare i bambini in stanza, chi li placcava in bagno, chi li portava negli sgabuzzini, chi li picchiava e li faceva mettere in ginocchio – e qui la componente sadomaso doveva essere davvero tanta. Proprio delle gran brave persone, insomma.
Onorevole Volontè, che dice, ora possiamo giocare a Operazione Pretofilia?

Verona – 67 ex-allievi accusano i preti dell’Antonio Provolo

Fonte: L’Arena – 22/01/2009

Verona. Decine di bambini e ragazzi sordomuti sarebbero stati
violentati e molestati negli anni in un istituto religioso di Verona,
l’Antonio Provolo. I fatti sono stati denunciati da 67 ex allievi con
una lettera al settimanale «L’Espresso», che ha anticipato i contenuti
dell’articolo in uscita nel prossimo numero. «Preti e fratelli
religiosi hanno abusato sessualmente di noi» affermano nella lettera
d’accusa gli ex ospiti del «Provolo», per i quali le violenze sarebbero
state perpetrate per trentanni, fino al 1984. Gli episodi citati
riguardano 25 religiosi; le vittime potrebbero essere un centinaio. Gli
ex allievi si dicono pronti a elencare vittime e testimoni, ma non
possono più rivolgersi alla magistratura, perchè i reati sono ormai
prescritti. Nelle loro denunce, gli ex ospiti del Provolo parlano di
sodomizzazioni, sevizie sessuali di ogni tipo, vessazioni e bastonate.
Interpellato dall’ANSA, il procuratore della Repubblica di Verona,
Mario Giulio Schinaia, ha detto di non sapere nulla della vicenda,
manifestando la propria amarezza per il fatto che questi episodi
avrebbero dovuto essere segnalati all’unico organo competente, la
magistratura, per ottenere giustizia. Secondo gli ex allievi del
«Provolo», una decina di sacerdoti responsabili delle violenze, ormai
anziani, sarebbero ancora nell’istituto, nelle sedi di Verona e Chievo.

Verona – Ancora in 300 in Piazza Bra’ contro l’aggressione a Gaza

Fonte: L’Arena – 10 gennaio 2009


I NODI INTERNAZIONALI. Manifestazione in piazza Bra organizzata dal consiglio islamico. Si replica oggi e domani


Distribuito un bollettino con l’invito a donare soldi Guerfi: «Serviranno per i medicinali e il cibo»


In
una delle foto una bimba di pochi mesi sembra dormire. Invece è
ritratta inerme sul suo letto di morte. Sotto l’immagine una scritta:
«È questa la giustizia?». Ce n’erano a decine di scatti come questo,
ieri, in piazza Bra, portati dagli oltre 250 manifestanti che si sono
riuniti per denunciare «il genocidio che Israele sta perpetrando in
queste settimane sul popolo palestinese, sotto l’indifferenza del mondo
intero». La comunità islamica veronese, insieme al Comitato contro la
guerra in Palestina, ha organizzato il presidio per esprimere
solidarietà al popolo palestinese, stretto d’assedio dall’esercito
israeliano.
Quella di ieri, in tutta Italia e nel mondo, infatti, è
stata la Giornata della rabbia. «Un richiamo voluto dall’Unione dei
sapienti islamici per sensibilizzare quante più persone possibile sulle
atrocità che stanno compiendo ai nostri fratelli nella striscia di
Gaza», ha spiegato Mohamed Guerfi, portavoce del consiglio islamico
veronese. «Questa è la giornata della collera degli arabi. Ma la vostra
rabbia è anche la mia e quella di molti altri italiani», è intervenuto
Roberto Malesani, dirigente del Coordinamento migranti. «Onu dove sei?
Dove sono i diritti umani?», hanno ripetuto a più riprese i
manifestanti.
Dure sono state le critiche che il gruppo ha elevato
al «silenzio istituzionale che sta accompagnando questa tragedia».
«Siamo contenti di appartenere allo stato italiano, ma è gravissimo il
fatto che sia indifferente di fronte a tutto questo e che addirittura
cerchi di giustificare ciò che Israele sta facendo a Gaza», ha
denunciato Guerfi. La comunità islamica è partita ieri pomeriggio alle
due dalla moschea di lungadige Galtarossa per arrivare in corteo fino
in Bra e riunirsi vicino ai giardini, di fronte alla Gran Guardia.
Dopo
gli interventi dei rappresentanti della comunità, del Comitato e del
Coordinamento migranti, i partecipanti si sono riuniti in preghiera
rivolgendosi alla Mecca e hanno poi proseguito il volantinaggio e il
presidio della piazza fino a sera. A concludere la giornata è stata la
fiaccolata, dalle 18 alle 19, sempre in piazza Bra, cui hanno
partecipato una cinquantina di persone, compreso qualche veronese. «La
luce vuole testimoniare la nostra solidarietà. E per dare la
possibilità a chi per motivi di lavoro non ha potuto partecipare
all’iniziativa durante il primo pomeriggio, di esprimere comunque la
propria partecipazione», ha aggiunto Guerfi. Oltre che dal punto di
vista simbolico, la comunità islamica è intenzionata a sostenere «i
nostri fratelli palestinesi» anche attivamente. Ieri pomeriggio è stato
infatti distribuito in piazza un bollettino postale e l’invito a donare
una giornata del proprio stipendio alla causa. «Soldi che si
trasformeranno in medicinali e viveri per i bimbi palestinesi», ha
spiegato Guerfi.
«Questa associazione ha sede a Genova e sappiamo
che i proventi raccolti andranno a buon fine, spesi direttamente per
chi ne ha più bisogno». La comunità islamica e i rappresentanti del
Comitato hanno organizzato un presidio in piazza Bra anche oggi dalle
15 alle 19; domani un corteo partirà alle 14 dalla stazione per
raggiungere piazza Bra.

 
 

Verona – “Ho chiesto di smetterla con i cori razzisti e loro sono impazziti”

Fonte: L’Arena – 9 gennaio 2009

LA VITTIMA. Francesca Ambrosi, 30 anni, racconta
quanto accaduto in via Alighieri sabato notte mentre festeggiava il
compleanno di un amico. La ragazza, colpita con un posacenere: «Prima i
cori nazisti, poi il pestaggio. Erano furie umane»

Verona. «Continuo a pensare che mi è andata bene perchè i miei
aggressori hanno usato le stesse dinamiche già utilizzate per
l’omicidio di Nicola Tommasoli».
La veronese Francesca Ambrosi, 30
anni, a cinque giorni dall’aggressione non si è fatta certo prendere
dalla disperazione o, peggio ancora, dal panico. Quel colpo in faccia
ricevuto da uno degli aggressori sabato notte con tanto di posacenere
non ha spento la sua voglia di capire cosa le è successo. Continua a
riflettere su quella violenza subita, lei insieme agli amici presenti
sabato sera e forte della sua laurea in filosofia e di tanti impegni e
lavori nel sociale, sempre precari, cerca una via d’uscita a quel
dolore a quella paura capitatele la notte di domenica in via Alighieri
a due passi da piazza Viviani, vicino al Caffè Posta. Non si arrende a
quel colpo, non vuole soggiacere a quelle logiche di violenza con una
semplice alzata di spalle. Ne parla, rivela la sua ansia, spiega le sue
sensazioni e non offende mai i suoi aggressori. Chiede solo giustizia.
La più rapida possibile. E ripercorre le tappe del suo calvario senza
tentennamenti. Lo vuole fare perchè non vuole che succeda mai più un
fatto del genere a Verona, la sua città.

Allora, Francesca, come è iniziato l’aggressione sabato notte?
«Ci
trovavamo nel bar di piazza Viviani. Ci eravamo recati in quel locale
per festeggiare il compleanno di una nostra amica quando sono arrivati
loro…»
Si riferisce ai tifosi dell’Hellas?
«I fan della curva? Questo lo dice lei non certo io. O almeno io quella quindicina di giovani non li ho riconosciuti come tali».
Si parla di cori da stadio?
«È vero hanno iniziato a cantare slogan ma non erano cori da stadio».
E cosa cantavano allora?
«Cori razzisti e nazisti e, addirittura, canzoni che inneggiavano alla violenza sulle donne».
E la tua compagnia?
«Siamo stati zitti in un primo momento e siamo usciti dal bar mentre la nostra amica stava pagando il conto della serata».
E fuori dal bar cos’è successo?
«Sono usciti anche loro e hanno continuato a cantare quegli slogani indecenti e intollerabili, facendo anche il saluto nazista».
Avete reagito?
«Non ho reagito. Mi sono rivolto a loro insieme a un’amica e gli ho solo detto di smetterla di cantare».
Solo questo?
«Ho notato che erano solo uomini e allora ho aggiunto che ci doveva pur essere una ragione se erano tutti maschi».
Una provocazione, insomma?
«Macchè
non volevo provocarli. Assolutamente. Ho solo fatto questa osservazione
per farli capire che erano solo una compagnia di uomini perchè avevano
certi atteggiamenti».
E loro hanno reagito?
«Sì con una frase
volgare che, però, non voglio riferire. Poi sono tornata nel mio gruppo
e un mio amico ha fatto un commento negativo ma non era nè offensivo nè
volgare».
Ma è stato sufficiente per far scoppiare il putiferio?
«Esattamente. Uno degli aggressori ha dato dello stronzo al mio amico».
E lui?
«Ha
detto solo che non aveva capito la prima lettera di quella parolaccia e
tanto è bastato perchè in una quindicina iniziassero a pestarlo come
delle furie umane».
Ha avuto paura?
«Ho reagito e ho solo detto che come al solito erano in dieci contro uno».
E uno di loro si è staccato dal gruppo…
«Sì, ha impugnato un posacenere e mi ha colpito all’occhio sinistro, facendomi cadere per terra».
Saprebbe riconoscerlo?
«Mi scusi, ma ci sono indagini in corso. Non posso risponderle».
E i suoi amici, l’hanno soccorsa?
«Non subito, ho iniziato ad urlare ma di me si sono accorti dopo alcuni attimi che non so quantificare..».
E il gruppo degli aggressori?
«Alcuni
sono scappati a piede altri, invece, hanno camminato appena hanno visto
arrivare una camionetta dei militari. E questo atteggiamento mi ha
fatto pensare».
Perchè?
«Mi sembrava un atteggiamento studiato di gente che sapeva come comportarsi in certi momenti così delicati».
E i militari hanno fatto qualcosa?
«No, non sono intervenuti solo quando è arrivata la polizia hanno iniziato a cercare gli aggressori».
Adesso come sta?
«Oggi la dottoressa mi ha detto che non perdo la funzionalità dell’occhio».
E riesce a dormire la notte?
«Devo prendere le gocce e fisicamente ne risento ovviamente, mi sento mezza faccia addormentata».
Ha pensato a Tommasoli in questi giorni?
«Fare un paragone con lui mi sembra assolutamente irrispettoso viste le conseguenze».
Ha pensato a cosa può aver spinto quei giovani ad aggredire addirittura una giovane come lei con un posacenere?
«Parto da un presupposto: questi soggetti non riconoscono l’altro come portatore di differenze che siano di qualsiasi tipo».
E la conseguenza di questa intolleranza?
«Sono portati a distruggere chiunque non sia come loro».
C’entra anche l’atteggiamento delle istituzioni cittadine?
«Alla
luce della condanna del sindaco Tosi (due mesi inflitti per la terza
volta in appello due mesi fa per propaganda razzista ndr), ritengo che
il primo cittadino deve essere esempio e portatore di valori come
quella delle differenze. Altrimenti mi chiedo: che clima si può creare
in città?».


Fonte: L’Arena – 9 gennaio 2009

Atterno agli aggressori si stringe il cerchi 

Gli aggressori sono già stati identificati. Le conferme da Digos e
procura non arrivano ma appare scontato oramai che siamo ad un passo
dalla conclusione delle indagini. Si chiuderebbe così il cerchio sul
pestaggio di sabato sera in via Alighieri davanti all’ex palazzo delle
poste contro le vittime, picchiati da un gruppo di giovani non ancora
identificati ma sicuramente di simpatie di estrema destra. La Questura
conosce le identità di chi da tempo in centro a Verona vuole dettare
legge contro chi è «diverso» a suon di calci e pugni.
Le
indagini su questi pestaggi, d’altro canto, sono iniziate nel 2007 e
sembra facile intuire che i riflettori degli inquirenti si siano
diretti verso quei giovani già finiti sotto inchiesta. Si tratta di 17
simpatizzanti di gruppi di estrema destra, già identificati due anni fa
e interessati da perquisizioni degli agenti della Digos. Ora
quell’inchiesta giace da tempo negli uffici della procura senza che si
sia mai arrivati alla sua conclusione nonostante siano trascorsi già
più di diciotto mesi. Le indagini proseguono con una certa frenesia,
utilizzando tecniche già note da tempo. I riconoscimenti fotografici,
innazittutto da parte dei testimoni. Negli uffici della Digos, ci sono
le foto di tutti quei giovani che bazzicano in ambienti di estrema
destra. E i testimoni certo non mancano.
Ieri mattina, il
dirigente della Digos, Luciano Iaccarino è rimasto per circa un’ora
nell’ufficio di Mario Giulio Schinaia. Sul summit, non è trapelata
alcuna indiscrezione ma è chiaro che il procuratore della repubblica ha
chiesto e ottenuto tutte le informazioni necessarie per chiedere
eventuali provvedimenti restrittivi o l’invio di avvisi di garanzia.
Le
difficoltà per gli inquirenti non mancano di certo. Al contrario che
nel caso di Tommasoli, ora è indispensabile risalire all’identità di
almeno una decina di soggetti. E non è certo semplice anche perchè
procura e Digos vogliono affrontare l’eventuale processo, avendo in
mano prove inconfutabili.
Anche ieri il procuratore Mario Giulio
Schinaia ha messo in evidenza la gravità dell’episodio, verificatosi
sabato notte. «Il prendersi a cazzotti, lo spaccarsi la faccia e il
naso non è un fatto giustificabile» ha esordito. La matrice politica di
estrema destra è incontestabile anche se per il procuratore «non
c’entra la destra o sinistra. Si tratta di persone che sono espressione
di una cultura violenta. Non si nascondono, lo dicono espressamente.
Etichettiamoli come vogliamo ma smettiamo di girare intorno al
problema». La questione principe da risolvere al più presto, quindi è
che «ci sono molti giovani che hanno come mezzo per esprimersi solo la
violenza».
Occorre chiedersi, infine, che «perchè», conclude
Schinaia, «tanti giovani oggi sentono la necessità di uscire di casa
per andare al bar o allo stadio con il deliberato proposito di menare
le mani. Si tratta di un fatto sul quale bisogna riflettere».

Verona – Aggressione da parte di ultras di destra

Fonte: L’Arena – 8 gennaio 2009

Nuova aggressione in centro storico. "Vicenda simile al caso Tommasoli"
Intolleranza.
Tre giovani sono stati picchiati tra Via Cairoli e Piazza Viviani. Le
modalità rimandano all’episodio accaduto a Porta Leoni. La Digos indaga

Ha riportato lesioni più gravi al volto e alla retina
di un occhio. Le persone coinvolte sono complessivamente venti,
suddivise in due gruppi

La polizia indaga su un nuovo episodio di violenza accaduto in centro vicino a Piazza Viviani

Verona. «Si tratta di un caso molto simile alla vicenda
Tommasoli». Il procuratore Mario Giulio Schinaia inquadra subito il
fatto di sangue verificatosi sabato notte in piazza Viviani. Il filo
dell’intolleranza, nella nostra città continua a dispiegarsi e a
mietere nuove vittime delle violenze. Questa volta, sono in tre i
giovani aggrediti nell’incrocio tra le vie Cairoli, Dante Alighieri e
piazza Viviani, vicino al caffè Posta. È riaccaduto in centro, già
teatro di altre aggressioni simili con tanto di inchiesta avviata nel
giugno 2007 contro 17 giovani e ancora inspiegabilmente aperta. Con
modalità molto simili, è avvenuto anche l’omicidio di Nicola Tommasoli
avvenuto nella notte tra il 30 aprile e il 1. maggio.
A inquadrare
questo nuovo episodio, è il procuratore Mario Giulio Schinaia: «Si
tratta di una vicenda che è oggetto di una particolare attenzione
perchè non è una banale zuffa ma di qualcosa di molto simile alla
vicenda di Tommasoli». Un aggressione, continua il procuratore, «nata
dal pretesto di fare a pugni anche se la mentalità rimane la stessa».
Il
copione si è, quindi, ripetuto nella notte tra sabato e domenica e
sulla vicenda stanno indagando la Squadra mobile e la Digos, coordinati
dai dirigenti Giampaolo Trevisi e Luciano Iaccarino. Indagini molto
serrate con l’obiettivo di concluderle il prima possibile per
assicurare i responsabili alla giustizia.
L’ipotesi di accusa
parla di lesioni gravi. Ad avere la peggio, infatti, la trentenne
Francesca A.: ha ricevuto un colpo all’occhio e rischia di perdere la
retina. Dopo un ricovero lampo, le è stata prescritta una prognosi di
trenta giorni e da qui è partita l’accusa di lesioni gravi. Sono stati
colpiti a suon di calci e pugni altri due giovani che hanno riportato
ferite guaribili, però, in meno di venti giorni. Si parla anche di un
oggetto contundente, lanciato durante il parapiglia ma su questa
circostanza gli investigatori non hanno raggiunto alcuna certezza. Gli
investigatori stanno ascoltando i testimoni, mostrando loro le foto
segnaletiche di chi potrebbe aver commesso l’ennesimo assalto in
centro.
«Stiamo ricostruendo la dinamica del pestaggio» affermano
in questura. Aggressione? Semplice lite finita con una scazzottata? Gli
investigatori rinviano ogni considerazione ad indagine conclusa. E il
finale di questa inchiesta sembra essere molto vicino così come
l’individuazione dei responsabili.
D’altro canto, agli investigatori
il materiale non manca di certo. Era una ventina i giovani che si
trovavano durante la tarda serata di sabato al caffè Poste di Piazza
Viviani, angolo via Alighieri, gestito da Ivo Spada. Stavano
festeggiando un compleanno. Verso mezzanotte, secondo un testimone,
presente al momento dell’aggressione, sono arrivati un’altra decina di
giovani, frequentatori della curva sud del Bentegodi. Il gruppo avrebbe
intonato subito dei cori tra i più alla moda in curva sud. Uno slogan
volgare, rivela un testimone. Canzone di chiaro stampo politico con
riferimenti nazisti? «Lo stiamo appurando», è la risposta che arriva
dalla questura. Qualsiasi coro sia stato intonato, però, non è stato
digerito molto bene dai giovani, soprattutto ragazze, che si trovavano
in quel momeno nel bar. La decina di tifosi dell’Hellas sono poi usciti
in via Alighieri e lì il battibecco è continuato. Si è così passati
dalle parole ai fatti. Uno dei supporter gialloblu avrebbe sferrato un
pugno in faccia ad un giovane della compagnia nella quale c’erano anche
due amici con i capelli rasta. Il motivo del contendere sarebbe stato
anche la lunghezza dei capelli colorati di alcuni avventori dei bar.
Subito dopo, è stata colpita la ragazza con un posacenere impugnato da
uno dei supporter gialloblu.
Dopo l’aggressione, c’è stato un
fuggi fuggi generale in varie direzioni. Ci sarebbe stata poi un’altra
colluttazione vicino al bar Malta davanti alle vetrine del negozio
Sportland dove sono state trovate alcune gocce di sangue. Ad avere la
peggio un amico delle due vittime che ha riportato ferite lievi.
L’aggressione sarebbe così finita con l’arrivo delle Volanti della
polizia che hanno setacciato subito tutto il centro senza, però,
trovare i responsabili.


Fonte: L’Arena di Verona 7 gennaio 2009

Piazza Viviani. Un ragazzo e una 27enne finiti in ospedale. Lei ricorda bene i volti dei suoi aggressori
Pestati in centro da estremisti riconosciute quelle «teste rasate»
L’avvocato della ragazza aggredita:«Erano determinati a scatenare la violenza»
Li ha visti bene in faccia, i suoi aggressori, Francesca, 27 anni, che
sabato sera è finita all’ospedale di Borgo Trento per colpa di alcune
gravi lesioni al volto, e in particolare alla retina di un occhio. Una
ventina di ragazzi, con ogni probabilità di estrema destra, hanno
picchiato lei e un amico in piazza Viviani, concludendo così, in modo
drammatico, una lite che era già iniziata tra i banconi del Bar delle
Poste.
Una ventina di ragazzi, quasi tutte coppie di fidanzati,
erano seduti. Alcuni avevano i capelli lunghi, a differenze di quella
ventina di teste rasate, tutti giovani sulla ventina, entrati mezzi
ubriachi nel locale. Alcuni avevano giubbotti neri, altri la maglia
dell’Hellas Verona. Erano tifosi della curva Sud, tanto che conoscevano
a memoria i cori del Bentegodi, e poi slogan razzisti, estremisti,
cantati a squarciagola per più di venti minuti.
Partono dei
commenti da parte dei ragazzi seduti, che ricevono in cambio delle
minacce. E visto che l’aria era tesa e il bar stava per chiudere, si
alzano e decidono di uscire, trattenendosi nella piazza. Dopo pochi
minuti escono anche quegli ultras. E scatta la rissa, anzi più risse
che coinvolgono diversi gruppetti. Il motivo? Forse lo stesso che da
mesi ha trasformato il centro città in un teatro di violenze, da parte
di estremisti nei confronti dei “diversi”: per idee politiche, per
abbigliamento. Un teatro che nel maggio scorso è stato insanguinato
anche dall’omicidio Tommasoli. Di quei venti giovani attaccati, due
hanno avuto la peggio, un ragazzo pestato a terra e l’amica Francesca,
che il mattino successivo si è rivolta al suo avvocato, Lorenzo
Picotti, per sporgere denuncia. E agli agenti ha descritto i visi degli
aggressori, che aveva ben impressi nella memoria. «Li aveva visti bene
quando si trovavano dentro al bar – spiega Picotti – e poi all’uscita,
durante il pestaggio. Insomma, saprebbe riconoscerli. Tanti avevano le
teste rasate, indossavano maglie dell’Hellas. Erano preparati e
determinati a colpire.
Venti minuti di slogan razzisti e poi un
commento da parte della 26enne, che è stato l’occasione per scatenare
la violenza fisica». Sul pestaggio sta indagando la Digos scaligera. Il
rapporto sulla vicenda non è ancora stato trasmesso alla magistratura.
Gli
agenti, che preferiscono non sbilanciarsi sulla natura dell’episodio,
stanno cercando di dare un volto ai picchiatori, ma al momento non vi
sono indagati. Fondamentale sarà la descrizione fornita dalla ragazza
ferita, e il confronto con i giovani estremisti scaligeri che la Digos
conosce bene, perché già più volte coinvolti in analoghi episodi di
violenza.

Rassegna stampa: Lanci di uova e slogan contro la guerra in Palestina

Fonte: Corriere della Sera – Corriere di Verona – Martedi 6 gennaio 2009-01-06

La protesta: presa di mira la Caterpillar. “I buldozzer utilizzati per abbattere le case”. E domenica i pacifisti hanno litigato con un pilota.
LANCI DI UOVA E SLOGAN CONTRO LA GUERRA IN PALESTINA

VERONA – Senza tregua, sfidando il clima sempre più rigido. L’azione del comitato «Stop alla guerra in Palestina» non ha intenzione di fermarsi «fino a quando non terminerà l’occupazione israeliana della striscia di Gaza». Anche ieri pomeriggio in piazza Bra, i manifestanti hanno esposto i loro striscioni e sventolato le bandiere arcobaleno della pace insieme a quelle a bande orizzontali nera, bianca e verde, con un triangolo rosso al lato; quelle del movimento nazionalista palestinese. Quattro ore di presidio, dalle 15 alle 19, per sensibilizzare l’opinione pubblica sui tragici fatti in corso in Medioriente. I manifestanti, soprattutto stranieri, hanno raggiunto la piazza in vari momenti del pomeriggio. Gli organizzatori parlano ancora di numeri importanti: all’inizio della manifestazione c’erano circa cento persone. «Siamo contro ogni terrorismo, ma non contro la resistenza – hanno ribadito al megafono -. A Gaza si stanno ormai mettendo in atto veri e propri rastrellamenti tra i resistenti». Qualcuno ha anche pregato stendendosi a terra, con il volto verso la Mecca. Nessuna scena di violenza o agitazione, come quelle viste in altre piazze italiane nei giorni scorsi. Ma domenica, alcuni manifestanti avevano litigato e lanciato oggetti contro un pilota di go-kart, davanti alla Gran Guardia. Pare che si lamentassero del fatto che il rumore dei mezzi copriva i loro slogan. E oggi probabilmente saranno nel piazzale della stazione, a Porta Nuova.
Gli attivisti stanno lentamente passando all’azione. Ieri un gruppo del Collettivo Metropolis ha eseguito un blitz contro un concessionario della Caterpillar in strada dell’Alpo, in zona industriale. La ditta era chiusa e gli attivisti hanno appeso alla cancellata dell’azienda uno striscione recitante «Boicotta Israele, Cat-Terror-Pillar» e due tute bianche macchiate di sangue in memoria delle vittime di Gaza. Poi hanno lanciato uova e vernice contro due mezzi in esposizione nel cortile. «I bulldozer Caterpillar sono utilizzati dall’esercito israeliano per commettere crimini di guerra nei territori occupati – si leggeva in un volantino -, abbiamo voluto “sanzionare” dal basso la filiale Caterpillar di Verona».


Fonte: L’Arena – 6 gennaio 2009:
PRESIDIO. In Bra, il «Comitato stop alla guerra» denuncia la strage nella Striscia di Gaza
Il grido di dolore per i palestinesi
«Israele uccide anche i nostri bambini»

«Condanniamo il silenzio dell’Onu, quello dell’Europa, quello del governo italiano». Israele ha tagliato in due Gaza e manifestazioni di denuncia arrivano anche nella nostra città. Sono tre giorni che il Comitato stop alla guerra in Palestina scende in piazza. Si sono uniti rappresentanti del mondo arabo, dei sindacati, dei migranti,di r.c.
«Siamo qui a denunciare che quello che sta accadendo nella Striscia non è quello che vogliono far credere. C’è disinformazione su questa guerra. Come volevasi dimostrare, la guerra di Israele nella Striscia di Gaza, è dipinta a senso unico nonostante il bilancio delle vittime palestinesi sia di centinaia di volte superiore a quello israeliano».
Dietro la porta della Bra un gruppo di manifestanti. Poco più indietro la pista di pattinaggio con canzoni natalizie. Da questa parte foto di bimbi con i volti insanguinati, dall’altra bambini vocianti che, fortuna loro, non conosceranno mai tanto odio.
I manifestanti ieri pomeriggio, come già avevano fatto domenica hanno srotolato striscioni mostrato foto di palestinesi feriti. «Vogliamo denunciare quello che sta accadendo. Non creeremo problemi a Verona, a questa città che ci ha accolto, ma dobbiamo illustrare al mondo quello che stanno facendo gli israeliani nella Striscia. Ammazzano i nostri figli, sparano a chiunque». Il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, sostiene che l’esercito non prende di mira i civili, ma durante un collegamento telefonico fatto dalla Bra con la Striscia, amplificato dal megafono, il contatto ha sottolineato che l’esercito israeliano colpisce chiunque, anche i bambini, non c’è scampo per alcuno. E ufficialmente sono 80 i piccoli ammazzati nei dieci giorni di attacco. Intanto i governi europei hanno sostenuto la posizione israelo-americana che vuole Hamas movimento terroristico, ma non si sono impegnati a dichiarare Israele Stato occupante. «Israele è lo Stato della negazione dei diritti umani», dicono i rappresentanti del Comitato, «ammazzano i civili con armi chimico-batteriologiche, silenzio in nome del rispetto dell’olocausto che vede i perseguitati di ieri persecutori di oggi. Così la popolazione di Gaza viene sterminata più volte dalle bombe di Israele, dalla politica europea di sudditanza agli Usa e a Israele e dalle ignobili bugie alimentate da certi mass media».

Lanciano uova contro un’azienda
Uova colorate di rosso lanciate contro due macchine della Caterpillar a simboleggiare l’orrore di queste ore nella striscia di Gaza. L’atto simbolico ieri ha attraversato tutto il mondo e anche a Verona nella ditta della Cat lungo la strada dell’Alpo al civico 3 s’è dato luogo alla protesta.
Il gesto è stato accompagnato da uno striscione lasciato appeso alla recinzione dell’azienda importatrice con scritto «Basta guerre». Il collettivo Metropolis che si lega al Comitato israeliano (nato negli anni Settanta) contro la distruzione delle abitazioni palestinesi ha voluto dare un segnale, lanciando alcune uova iniettate di colore rosso a ricordare l’ennesima strage degli innocenti. La Caterpillar è una multinazionale americana che da più di 80 anni è leader mondiale di mezzi di movimentazione è questa azienda a fornire alle forze armate israeliane i bulldozer blindati ed equipaggiati per demolire le case dei palestinesi. Il collettivo Metropolis chiede ai veronesi di aiutare il popolo palestinese rifiutando di acquistare scarpe, maglioni, cappellini che riportano il famoso logo Caterpillar che produce anche abbigliamento. Un boicottaggio che andrebbe anche a ricordare i tanti attivisti americani impegnati a proteggere i palestinesi.

Toni Negri: Verona? mi ispira il termine fascista…

Da: Corriere della sera – Verona- 1 dicembre 2008

Il dibattito. Il “professore” al Metroplis Cafè per presentare “Alla ricerca del commonwealth”
Toni Negri e il “bene comune”: Verona? Non ha mai brillato per il suo acume politico.
“La città mi ispira il termine “fascista”, inteso come incapacità di modernizzarsi”

C’è del “commonwealth” anche a Verona.
Inteso come “bene comune”. O meglio c’era. E non tanto a Verona. Più
nel nordest. Passano gli anni, anche per quelli che vengono definiti
“cattivi maestri” o “pensatori senza tempo”, a seconda delle credenze.
Politiche e non solo.
E gli anni passano anche per lui. Per uno
che, nel bene o nel male, di questa terra – e non solo – è un
pensatore. E che in riva all’Adige è sempre venuto storcendo un po’ il
naso. Lo ha fatto la settimana scorsa. In un luogo che il seme del suo
pensiero lo porta avanti, anche in una città che – culturalmente e
politicamente – gli è sempre stata ostile. Perché Toni Negri, la
settimana scorsa, era al Metropolis Cafè di Via Mazza. Nello spazio
gestito dall’associazione “Equilibrio precario”, Negri ha colloquiato
con Adriana Cavarero, ordinaria di filosofia politica all’università
scaligera e con Sandro Chignola dell’ateneo di Padova. Il “professor
Negri”, che dopo gli anni di carcere trascorsi in Italia con le accuse
di associazione sovversiva e insurrezione armata contro i poteri dello
stato, attualmente viene considerato in varie parti del mondo uno dei
massimi filosofi della politica viventi.
Tanto da incassare
l’inserimento da parte del Time “tra le sette personalità mondiali che
stanno sviluppando idee innovative in diversi campi della vita
moderna”. Ma che qui rimane quello per cui fu accusato nel 1979:
l’ideologo delle Brigate Rosse. Passano gli anni anche per Toni Negri.
Ma lui non smette di sviluppare. E a Verona è arrivato per anticipare
quello che è ancora un libro avviluppato e che sarà pubblicato dalla
Harvard University Press. Quel “Alla ricerca del commonwealth” che è
l’ultima parte di una trilogia iniziata con “Impero”. Dove l’idea
comunista rimane il principio di un’analisi che affetta la
globalizzazione. Ha le radici piantate nel Nordest il professor Negri,
nonostante i viatici che lo hanno portato a vivere altrove. Adesso la
sua è una spola tra Venezia, Parigi, Roma. Quell”Impero” scritto con
Michael Hardt è diventato un “testo culto”.
“Chi lo ha criticato –
dice adesso – ha mosso obiezioni che sono cadute con la crisi di questo
periodo. In Italia la lettura è stata alquanto superficiale. E le
critiche sono cadute quando ci si è accorti che non si è in grado di
affrontare la crisi fuori dalla globalizzazione. Con la sovranità
nazionale che è stata indebolita all’interno da questi processi”. Un
processo che potrebbe sembrare quasi “identitario” quello di Toni
Negri. Che un’identità la dà anche alla sua terra. “Il Veneto è stato
uno dei primi esempi di globalizzazione”. Parliamo degli anni Settanta.
E allora aveva un’accezione positiva. Basti pensare a Benetton, ai suoi
United Colors. Alle nuove forme di comunicazione che sono nate qui. Poi
c’è stata la svolta negativa. Quella politica. Il Nordest ha avuto una
classe politica che è sempre stata fifona, in tutte le sue accezioni”.
E per Negri Verona è la dimostrazione più lampante di quella classe”
fifona”. “Verona non ha mai brillato per acume politico. Le sue massime
espressioni sono state i Gonella e i Trabucchi.” Ma in riva all’Adige,
per il “cattivo maestro” c’era un’”intellighenzia” industriale e
produttiva che dalla politica è stata però spenta. “Mi ricordo –
racconta – figure come quella di Hrayr Terzian”. Il primo rettore
dell’Università di Verona. Che come molti altri suoi colleghi arrivava
in riva all’Adige da quell’ateneo patavino che diede i natali di
docente anche a Negri. “Con Terzian – prosegue – avevamo anche studiato
un protocollo di medicina sociale per il Petrolchimico. Finì tutto in
nulla”. Ma avevano visto lontano. Perchè anche il Petrolchimico con i
suoi operai non navigarono in buone acque. Oggi il filosofo della
politica Toni Negri guarda tutto con distacco. Ma non ha smesso di
analizzare, con l’occhio critico di chi ha scritto che “non siamo
anarchici, siamo comunisti che hanno visto in quale misura la
repressione e la distruzione dell’umanità siano state portate avanti
dai big government socialisti e liberali”. E non ha perso l’abitudine
di non usare mezzi termini.
“Quando guardo Verona adesso, il suo
sindaco, chi l’ha votato, ma anche le altre città in Veneto che si
muovono sulla stessa riga. Mi viene in mente un solo termine.
“Fascisti”. Dove fascista non sta assolutamente per razzista o
antisemita, come la maggior parte della gente pensa. Fascista nel senso
di un movimento incapace di modernizzazione. Incentrato su un unico
scopo, quello di difendere il proprio interesse, che esso sia economico
o sociale”. E non a caso il Metropolis café è in un luogo che in
quest’ottica è assolutamente “antifascista”, quella Veronetta che per
la su struttura è – inevitabilmente – un luogo di sperimentazione e
integrazione. Lui, il “cattivo maestro”, dai borghi della sua terra ha
preso il via per un’analisi sempre ancorata al comunismo, di quella
globalizzazione che – stando al Negri “pensiero” – mai potrà avere un
risvolto positivo, al contrario di quello sbocco che s’intravvedeva
negli anni Settanta proprio qui, nel Nordest. “Adesso – ha detto – in
molti parlano di “capitalismo buono”, che permette lo sviluppo. Tutto
questo è per me falso: il capitale è sempre un rapporto di forza, in
cui lo sfruttamento è necessario. E i soggetti lo devono combattere.”
Passa il tempo, anche per il professor Negri, che ormai ha 75 anni. Ma
che non ha cambiato di una virgola il suo pensiero, da quando fu tra i
fondatori di potere Operaio.


Da: Corriere della Sera – Verona – Martedi 2 dicembre 2008

Il dibattito. Reazioni dopo le accuse del “Cattivo maestro”

Tosi: “Pessimo Negri”
La Sironi: “Il prof si informi. Ma la città può fare di più”
Zanotto: “Fascisti no. Però il rischio c’è”
Sindaco contro la Cavarero: “Mi fa più male che ci siano docenti della nostra università che vanno a dibattere con lui”

Verona – Verona fifona e fascista? I
giudizi di Toni Negri sulla nostra città, pubblicati domenica dal
Corriere di Verona, hanno fatto sobbalzare sulla sedia più di un
esponente politico. E hanno coinvolto, in maniera particolare, i tre
sindaci che hanno guidato l’amministrazione scaligera negli ultimi
anni.
Il più arrabiato è sicuramente il sindaco in carica, Flavio
Tosi. Secondo il quale “viviamo davvero in un Paese strano. Ho letto –
dice Tosi – le dichiarazioni di Negri sul vostro giornale. E proprio
sul vostro giornale ho letto anche la notizia di Furlan, rilasciato in
anticipo, dopo avere ucciso almeno 15 persone: e gli hanno pure trovato
una casa, di cui pagano l’affitto. Penso a come saranno contenti i
cittadini onesti, alle prese coi conti e le bollette da pagare. Una
vicenda abominevole…”.
“Tornando a Negri – continua Tosi –
giustamente è stato definito uno dei “cattivi maestri”, dove
l’aggettivo “cattivi” va inteso nel suo senso più profondo. Ha portato
a far massacrare come cani centinaia di persone, d’ogni tipo e d’ogni
ceto. E adesso risale in cattedra a dare giudizi. Quel che mi fa più
male, poi, è che ci siano maestri d’oggi, che insegnano nella nostra
università (Adriana Cavarero, ndr) o nell’università di Padova (Sandro
Chignola, ndr) che vanno tranquillamente a dibattere con lui, come se
niente fosse. E poi cosa andranno ad insegnare ai nostri ragazzi? Che
idee daranno loro?”
Tosi non dimentica che Negri ha scontato la
sua pena. “In un Paese normale dovrebbe sparire, farsi solo
dimenticare. Altro che partecipare a dibattiti in cui spiega come
dovrebbe essere la società in cui viviamo! Lui, personalmente, è
l’esempio vivente di quello che una società non dovrebbe consentire e
di come in una società non ci si deve comportare!”.
Toni diversi
dal predecessore di Tosi, Paolo Zanotto, che entra invece nel merito di
quanto sostenuto da Negri. E almeno in parte gli dà ragione. “Verona
non è solo fifona – dice Zanotto – bensì è letteralmente terrorizzata
dall’innovazione. E’ una città indifferente alle esigenze di
modernizzazione. Ed è anche vero che, in molti casi, l’unico scopo è
quello di conservare, difendere i propri interessi”.
Che per
Zanotto, però, non significa una Verona “fascista”. “No, ma una città
che rischia di diventarlo, per il diffondersi di pensieri e di modi di
agire che stanno sempre più prendendo piede e di fronte ai quali ci
sono troppi silenzi da parte delle Istituzioni, del mondo economico e
anche di quello culturale cittadino, nonchè da parte dei principali
mezzi d’informazione”. Nettamente anti-Negri il pensiero, infine, di
Michela Sironi, che peraltro non rinuncia a qualche stoccatina agli
attuali “reggitori” della città. “Negri deve informarsi meglio – dice
la Sironi – e se lo facesse saprebbe che Verona sta dando molto al
mondo dell’economia e a quello della cultura. Ovvio che si può fare
sempre qualcosa di più, e che questo dipende dalle scelte politiche.
Parlo sia del Comune che della Provincia, e ribadisco quello che ho più
volte detto: a Verona esistono moltissime potenzialità, ma quello che
manca è la collaborazione tra tutti gli enti pubblici, nonchè tra
questi ed i privati. Spesso, al contrario, vedo esempi di
incomprensione assoluta. Ed è questo il motivo per cui manchiamo di
progetti a lungo termine e di una vera strategia…”.


Vai alla registrazione dell’intervento di Negri al Metropolis café di Verona

Verona – Spettacoli nella bufera

Fonte: L’Arena – 17/08/2008

Protestano in maschera contro i tagli in Arena

Ieri, sulla scalinata di Palazzo Barbieri hanno fatto «outing». Poco dopo mezzogiorno, una trentina di aderenti al comitato spontaneo di lavoratori della Fondazione Arena, al termine del turno di lavoro, si sono dati appuntamento in piazza per manifestare il loro dissenso contro la conduzione del teatro e per chiedere lumi sul piano di risanamento del teatro in deficit per 20 milioni di euro.
Alcuni avevano una mascherina di carta sollevata sul viso. «È la maschera della paura e del silenzio che oggi ci siamo tolti», esclama uno degli «autoconvocati». Affermano che le adesioni al comitato hanno superato il centinaio.
Herbert Steele, il portavoce, firma il comunicato con le rivendicazioni. Le principali sono la «salvaguardia dei posti di lavoro, precari compresi, anche per la prossima stagione» e «una svolta nella gestione del teatro».
Nei giorni scorsi le hanno formalizzate alla direzione, proclamando lo «stato di agitazione». E domani le presenteranno in Prefettura. «Perché», sottolineano, «l’Arena è un patrimonio di tutta la città». Il comitato spontaneo era nato all’indomani del licenziamento, lo scorso 26 luglio, di Aurelio Barbato, responsabile dei tecnici di palcoscenico. Per protesta, una sessantina di macchinisti avevano interrotto il montaggio del Nabucco, in scena quella sera, ma furono subito rimpiazzati dai lavoratori di una cooperativa.
Gli «autoconvocati» dicono di avere atteso invano delucidazioni sul piano per il rientro dal deficit. «E pensare», ironizzano, «che la direzione per informarci aveva a disposizione tre giorni di tempo questa settimana, vista la cancellazione del Galà Giulietta e Romeo. Un inspiegabile buco di programmazione nel clou della stagione turistica», denunciano, «con una perdita potenziale di tre milioni di euro, per non parlare dell’indotto per la città, poiché ogni serata in media», sostengono, «registra un incasso di 800mila euro… E in questi giorni i lavoratori sono stati regolarmente pagati».
I presenti affermano di non essere mossi da richieste economiche. «Vogliamo che il nostro teatro torni ad essere grande perché riproporre allestimenti vecchi per risparmiare, come dice di voler fare il sovrintendente, è una politica miope, servono novità e innovazione».

Verona – Lavoratori della Fondazione Arena in lotta. Nasce un Comitato autonomo

Fonte: L’Arena

Martedì 29 luglio 2008
LIRICA
NELLA BUFERA. Dopo che sabato il «Nabucco» è andato in scena nonostante
la protesta dei macchinisti come solidarietà al collega licenziato, la
Cgil non molla
Acque agitate in Arena. Serate ancora a rischio

Ironia del destino, in una stagione lirica finora al di
sotto delle aspettative sul fronte degli incassi, il Nabucco, opera
verdiana tanto cara a quel partito padano cui appartengono il
sindaco-presidente Flavio Tosi e il sovrintendente Francesco Girondini,
rischiava di assurgere a simbolo della catastrofe. Uno sciopero dei
macchinisti, sabato scorso, ha infatti rischiato di far saltare la
rappresentazione, andata in scena dopo che la direzione della
Fondazione Arena aveva sostituito gli operai in che avevano incrociato
le braccia con personale di una cooperativa privata. Una decisione
tacciata come «antisindacale» dalla Cgil che preannuncia «ulteriori
momenti di lotta nei prossimo giorni». E alle accuse
dell’organizzazione sindacale è arrivata l’immediata replica della
direzione dell’ex ente lirico. Lo sciopero dei macchinisti e degli
addetti del reparto attrezzeria era scattato dopo il licenziamento in
tronco, comunicatogli sabato mattina tramite lettera raccomandata, del
capo-macchinisti Aurelio Barbato. «Senza fondato motivo» afferma il
Sindacato dei lavoratori della comunicazione Cgil. Per il portavoce del
sindaco, Roberto Bolis, invece, il funzionario licenziato si era reso
responsabile di gravi negligenze nella messa in sicurezza della
struttura. L’acuirsi della tensione fra la direzione dell’ex ente
lirico e i sindacati rischia ora di rendere ancor più drammatica la
crisi del teatro, che registra un deficit di circa 20 milioni di euro e
che deve fare i conti con una sensibile riduzione degli spettatori. «La
direzione invece di ricercare una soluzione», accusa Giuseppe Di
Girolamo, responsabile del settore lavoratori della comunicazione della
Cgil, «ha minacciato provvedimenti disciplinari per gli scioperanti,
con un gravissimo atto intimidatorio». E sostiene la «piena legittimità
dello sciopero suffragata anche dai pareri dei nostri legali». A
Palazzo Barbieri, tuttavia, si sostiene che la Fondazione «non ha
ricevuto il preavviso nei termini previsti dalla legge». Secondo Di
Girolamo «non c’era da rispettare alcuna procedura di preavviso poiché
la protesta non riguardava trattative in corso, ma un licenziamento di
un dipendente per il quale chiediamo la riassunzione immediata». Nel
suo comunicato, la Cgil, afferma, inoltre che «la cooperativa chiamata
a sostituire il personale della Fondazione non era preparata al
montaggio delle scenografie, non rientrava nei piani di sicurezza e il
suo personale non è stata formato all’utilizzo delle attrezzature e dei
mezzi». Nel pomeriggio di ieri la Cgil ha chiesto un incontro urgente
con la direzione della Fondazione «Fino a sabato mi sentivo parte della
direzione della Fondazione Arena. Aurelio Barbato, 45 anni, un diploma
in scenografia all’Accademia delle belle arti di Napoli e studi di
architettura alle spalle, capomacchista all’Arena dal 1999 mette subito
in chiaro di non essere mai stato sindacalista. E protesta contro
l’«ingiustizia» che afferma di aver subito. «Ho cominciato a lavorare a
13 anni con un certo Nino Taranto, nel 1995 sono entrato in Arena come
macchinista, superando le selezioni per titoli, capacità e meriti
artistici. Prima di venire a Verona, infatti, ho firmato scenografie
con artisti del calibro di Dario Fo, per il quale ho fatto anche il
direttore di scena». L’ex capo-macchinista promette battaglia davanti
al giudice del lavoro: «Chi mi accusa ne risponderà in tribunale. Mi
contestano la mancata installazione di due bulloni, e allora perché
hanno dato il via libera alle prove se la situazione era tanto
pericolosa? Si tratta di motivi pretestuosi come le 21 contestazioni
scritte in un mese delle quali ho risposto al sovrintendente». «So di
non avere un bel carattere», aggiunge, «ma quando mi hanno detto dello
sciopero mi sono commosso. Spero che non subiscano ritorsioni».

Sabato 02 agosto 2008
LIRICA. Nasce un Comitato dei lavoratori Arena, tecnici ancora sul piede di guerra

Non accenna a placarsi lo stato di agitazione dei
lavoratori dell’Arena dopo il licenziamento in tronco del
capo-macchinisti Aurelio Barbato e lo sciopero di sabato 26 luglio in
segno di solidarietà (che non ha tuttavia evitato la rappresentazione
del «Nabucco» vista la chiamata, in extremis, da parte della direzione
della Fondazione, di personale di una cooperativa privata). Una
trentina di loro, rappresentanti del personale tecnico tra macchinisti,
attrezzisti, magazzinieri e sarti, ha dato vita proprio ieri al
Comitato spontaneo dei lavoratori della Fondazione Arena. «Non ci
leghiamo a nessuna sigla sindacale e a nessun partito politico», spiega
il rappresentante Steele Herbert, macchinista in Arena dal 1987,
«nonostante esista affinità con le dichiarazioni di Comunisti italiani,
Rifondazione comunista e Sinistra democratica. Il nostro scopo è agire
in maniera più efficace e autonoma». Tre i punti messi nero su bianco
nella riunione costituente del Comitato: «Innanzitutto la richiesta, da
rivolgere alla Fondazione, di immediato reintegro del collega»,
continua Herbert, «licenziato senza essere stato sottoposto prima ad
alcun provvedimento e per una presunta negligenza in tema di sicurezza,
quando l’incidente avvenuto in fase di smontaggio del "Nabucco" lo
scorso 19 giugno, per il quale la direzione non ci ha ancora fornito
risposte, dimostra che in altri casi proprio la sicurezza è stata
palesemente violata». Secondo il rappresentante, inoltre, su 70 unità
ogni giorno quasi una quindicina di macchinisti è assente, proprio per
problematiche legate al mancato rispetto della sicurezza. «In secondo
luogo vogliamo la tutela dei 60 lavoratori che hanno scioperato il 26
luglio, subendo poi intimidazioni circa il loro futuro in Arena. Terzo,
chiediamo l’apertura di un tavolo di confronto con presidente,
sovrintendente e Cda, sul futuro del Teatro: dal piano di risanamento
alla programmazione, assente». E per i prossimi giorni, sono già due le
azioni di lotta previste: «Domani dopo lo spettacolo indiremo
un’assemblea», conclude Herbert, «per stabilire i tempi entro cui la
direzione dovrà darci una risposta. Se questa non ci sarà, proporremo
un altro sciopero». Oggi, intanto, dalle 17.30 alle 20, sarà la Cgil a
ribadire le sue contrarietà alla situazione dell’ente, con un presidio
e volantinaggio in piazza Bra.

Lunedì 04 agosto 2008
LIRICA. Dopo il presidio di sabato, proclamato lo stato di agitazione Arena, i lavoratori sul piede di guerra

Sarà una settimana particolarmente calda, e non solo
dal punto di vista atmosferico, per gli spettacoli in Arena. I
lavoratori, divisi in più fronti, confermano infatti lo stato di
agitazione dopo quella che definiscono «la goccia che ha fatto
traboccare il vaso», ovvero il licenziamento «in tronco e senza fondato
motivo» del capo-macchinista Aurelio Barbato, giunto ad aggravare una
situazione che ritengono ormai insostenibile, fatta di «un rilancio che
non si prospetta e una continua riduzione del personale». Sabato sera,
in occasione della prima di «Rigoletto», alcuni lavoratori, tra cui lo
stesso Aurelio Barbato, hanno partecipato ad un presidio organizzato in
Bra dalla Cgil, «per informare i cittadini», fa sapere Giuseppe Di
Girolamo, segretario della Slc Cgil, «di quello che sta succedendo alla
Fondazione Arena». Un’iniziativa nata all’indomani di un incontro tra i
rappresentanti della Cgil e la direzione della Fondazione, svoltosi
venerdì e conclusosi sostanzialmente con un nulla di fatto. «Abbiamo
chiesto il reintegro del collega licenziato, una definitiva chiarezza
sulle intimidazioni a cui i lavoratori, in particolare gli stagionali,
sono stati sottoposti dopo aver partecipato allo sciopero di sabato 26
luglio in segno di solidarietà per Barbato, e la possibilità di aprire
un tavolo di discussione sulle prospettive del teatro», spiega Di
Girolamo. «Inoltre abbiamo ribadito la necessità di rinnovare il gruppo
dirigente: non serve cambiare il sovrintendente, quando i dirigenti
restano gli stessi e da anni non si registra nessuna novità
sostanziale, salvo l’aumento delle terze prestazioni e il ricorso a
cooperative esterne, con un conseguente aumento dei costi». Ma le
risposte da parte della Direzione, spiegano dalla Cgil, sono state
assolutamente evasive. «Per questo abbiamo proclamato lo stato di
agitazione», conclude Di Girolamo, «come preludio di nuove iniziative,
finché la situazione non si smuove». Ma per il momento, dicono, non si
parla di ulteriori scioperi. Chi invece prosegue nel proposito urgente
di «bloccare per una serata la messa in scena dell’opera, come non è
mai successo in Arena», allo scopo di convincere la direzione a
prendere al più presto una posizione, è il neonato Comitato spontaneo
dei lavoratori della Fondazione, che si definisce slegato dalle sigle
sindacali e dai partiti. E che, dopo l’assemblea «costituente» di
venerdì, presenti una trentina di lavoratori, ha già fissato due
assemblee aperte a tutto il personale, da svolgersi stasera e martedì,
a fine turno, per far conoscere ai colleghi gli spunti per la lotta.
«Stiamo spargendo la voce, raccogliendo adesioni non solo tra i
tecnici, ma tra tutti i comparti, dagli addetti al retropalco alle
comparse. E c’è effettivamente interesse», spiega Steele Herbert,
referente del Comitato. «Durante le assemblee voteremo per
ufficializzare lo stato di agitazione e fissare lo sciopero,
probabilmente già in settimana. Il difficile», conclude Herbert, «è
persuadere i colleghi, soprattutto gli stagionali, visto il terrorismo
psicologico messo in atto dalla Fondazione. Ma si è visto che già tre
anni fa, quando le comparse si organizzarono in maniera simile e
scioperarono in massa, costrinsero l’opera ad andare in scena con
pochissimi figuranti. Il problema è che erano da soli: unendo le forze
di tutti i lavoratori, invece, si può davvero oscurare l’opera per una
sera».

Verona – Emergenza abitativa. AGEC occupata dagli sfrattati

Fonte: il Verona, 22/07/2008

Emergenza abitativa. Sugli sfratti l’amministrazione non ha rispettato l’accordo con Prefettura e Tribunale
Sette famiglie in cerca della casa – sede Agec occupata per 10 ore

È uno di quei casi in cui il cinismo
della burocrazia si mescola con l’ipocrisia della politica. Lo scenario
è il salone del palazzo che ospita la sede di Agec, in via Noris,
occupato per 10 ore, dalle 11 alle 21, da sei donne straniere (tre del
Marocco, due della Nigeria e una della Tunisia) con nove bambini al
seguito e da una coppia albanese-rumena. Sono i protagonisti di una
rappresentazione degna del miglior teatro dell’assurdo, dove le
comparse sono i volontari della “Rete sociale per il diritto alla casa”
e il coordinatore del Movimento migranti Khaled, il presidente di Agec
Giuseppe Venturini, il direttore generale Sandro Tartaglia e il
dirigente della Digos Luciano Iaccarino. Altri, come il prefetto Italia
Fortunati e gli assessori Pierluigi Paloschi (Politiche della casa) e
Stefano Bertacco (Servizi sociali) non c’erano ma venivano evocati. I
motivi dell’occupazione sono diversi: due famiglie hanno ricevuto
l’ingiunzione di sfratto e devono liberare le case mercoledì e giovedì.
Le altre da anni aspettano un’abitazione a canone convenzionato. Sono
tutte in regola: hanno il permesso di soggiorno, sono residenti a
Verona da oltre 10 anni, il padre di famiglia lavora regolarmente. E
sono integrati: l’esempio lo danno i bambini, che vanno a scuola e
parlano un italiano perfetto. Ogni famiglia è un caso a sè: al
nigeriano Aghimir è stata assegnata una casa a Poiano. «Ma non ha
ritirato le chiavi», si lamenta Venturini. Il motivo è lampante: l’Agec
gli ha chiesto un deposito cauzionale di un anno di affitto, circa 6
mila euro. E la cosa, dato che si tratta di abitazioni concesse a chi
ha un reddito molto basso, si spiega con una sola parola: assurdo. Hoti
Hamza, albanese di 48 anni, ha invece ricevuto l’esecuzione di sfratto
per il 24 luglio, dopodomani. Hoti ha tre costole rotte e una gamba
fratturata a causa di un brutto incidente stradale. Per questo è
disoccupato e per il momento lavora solo la moglie rumena. Del caso si
è interessata anche il prefetto Italia Fortunati che il 14 luglio ha
scritto all’assessore Bertacco e al presidente del Tribunale ricordando
«le intese assunte nel corso della riunione svoltasi il 18 marzo
scorso» a proposito dell’emergenza sfratti. Il presidente del Tribunale
risponde il 16 luglio scrivendo «che l’accordo relativo all’emergenza
sfratti, di cui si era discusso in occasione dell’incontro da Lei
ricordato, ove si auspicava un “rallentamento” delle procedure di
sfratto in casi particolari, non ha poi avuto alcun seguito». Alla
faccia della conclamata emergenza. E poi c’è il caso di Hassan che a
cusa di uno sfratto è stato costretto a dividersi dalla moglie e dalle
due bambine che da marzo sono ospitate in una casa d’accoglienza
gestita dalle suore. Per questo il Comune paga alla Diocesi 105 euro
per ogni bambina al giorno (la mamma non paga). Questo vuol dire che
l’amministrazione negli ultimi 4 mesi ha già sborsato 26 mila euro, e
senza risolvere il problema. «Avevamo chiesto all’assessore Bertacco un
aiuto per pagare i 3 mila euro che questa famiglia aveva di arretrati,
somma che avrebbe restituito nel tempo – spiega Giorgio della “Rete
sociale per il diritto alla casa” – ma Bertacco ha detto no e ad oggi
hanno già pagato 26 mila euro». Assurdo. Alla 18 per mediare arriva il
dirigente della Digos Iaccarino. E promette che l’indomani (oggi, ndr)
l’assessore Bertacco incontrerà le famiglie, singolarmente. Episodio
sintomatico: una mediazione politica svolta da un dirigente della
Digos. Alla fine le donne si convincono e vanno via. Dalle 9 saranno a
Palazzo Barbieri.

Fonte: L’Arena, 22/07/2008

EMERGENZA ABITATIVA. Un gruppo di donne
maghrebine, con i loro bambini, si è piazzato nel salone dell’ente per
avere un appartamento
Agec occupata dagli sfrattati

Qualcuno vive già da tempo in case di
accoglienza, qualche altro sta per venire sfrattato entro pochi giorni:
le loro storie sono diverse, ma tutte accomunate dalla paura di
ritrovarsi all’improvviso sulla strada, senza un tetto per sè e per i
propri bambini. E così, per chiedere ascolto, ieri mattina sei famiglie
di immigrati (tunisini, marocchini, albanesi) hanno occupato il piano
terra della sede centrale dell’Agec, in via Enrico Noris, angolo piazza
San Nicolò: un gesto provocatorio per ribadire con maggiore forza il
diritto alla casa. A compiere la pacifica occupazione sono state però
prevalmentemente le donne, coi loro piccoli in braccio o per mano (gli
uomini di giorno sono al lavoro): insomma, una sorta di «occupazione
matriarcale», con queste giovani dagli occhi scuri decise a non
muoversi di un passo nemmeno quando il presidente dell’Agec Giuseppe
Venturini, affiancato dal direttore generale Sandro Tartaglia, ha
rinviato l’incontro con le singole famiglie a lunedì prossimo,
promettendo che almeno le quattro che hanno i requisiti in regola
vedranno una soluzione del loro caso. Ma loro non se ne sono andate,
irremovibili nella decisione di avere una risposta concreta, con i
bambini che improvvisavano un gioco di aquiloni di carta fatti con i
volantini Agec, preoccupate solo di trovare qualche panino e dell’acqua
per sè e soprattutto per i più piccoli, mentre alle 11.30 si chiudeva
la porta di ingresso al pubblico e gli occupanti restavano a loro volta
«prigionieri» del palazzo dell’Agec. Ad accompagnare il gruppo degli
immigrati c’erano i volontari della Rete sociale per il diritto alla
casa, composta dal Coordinamento migranti e dal collettivo Metropolis,
tra cui il responsabile della Rete Ben Ammar Khaled. Tra gli altri, a
chiedere condizioni di vita accettabili, c’è anche Nadir, che ha solo
10 giorni, sta in braccio alla mamma Leila Zegihdi, tunisina, che di
figli ne ha altri tre: lei vive coi bambini alla casa accoglienza di
via Tunisi, anche Nadir è nato lì, ma tra qualche giorno rischiano di
ritrovarsi tutti e cinque sulla strada; il marito Mezri Sakama dorme
già in macchina. Ed è proprio Leila che, di fronte alle parole del
presidente dell’Agec Giuseppe Venturini che li rimanda a lunedì
prossimo, spiega così la decisione di non andarsene: «Qui si sta bene,
molto meglio di dove abitiamo, è grande, almeno abbiamo un tetto».
Insieme a lei, ci sono le famiglie di Said Rebass che da tre anni
alloggia al residence Manager, da dove sta per essere mandato via; Said
Sadif, con la moglie Saadia Bohrdune e tre figli, che saranno sfrattati
domani dalla casa di via Velino in cui vive, non per morosità ma per
fine locazione: «Abbiamo ormai raggiunto i 20 punti nella graduatoria
Agec e abbiamo maturato il diritto alla casa». E poi Hoti Hamza,
invalido per un incidente sul lavoro, che abita con la moglie a Poiano
e che sarà sfrattato dopodomani; Aghimien Whunmwhugho, a cui sarebbe
stata restituita la casa in affitto che abitava pagando 373 euro
mensili fino al 18 maggio 2007 con un nuovo affitto di 500 euro e con
la richiesta di un anticipo di 12 mensilità: seimila euro impossibili
per lui da trovare. «Di questa situazione autorità e Comune sono al
corrente da tempo, ma non hanno voluto trovare una soluzione», spiega
Giorgio Brasola, membro della Rete. «Prefetto, presidente del tribunale
e amministratori comunali si sono incontrati insieme all’avvocato
Roberto Malesani che aveva chiesto una sospensione degli sfratti:
presidente del tribunale e prefetto erano stati favorevoli a trovare
una soluzione che però spetta al Comune, ed è proprio il Comune che ha
dimostrato disinteresse, lasciando cadere la situazione. Anche oggi
avevamo invitato gli assessori Bertacco e Paloschi ma nessuno si è
fatto vedere. Sappiamo», prosegue, «che esiste una legge regionale in
cui all’articolo 21 si afferma che il cda dell’Agec può decidere di
assegnare una abitazione anche a chi non è in regola con i requisiti
richiesti: le persone che oggi sono qui vedono la loro storia
trascinarsi da anni senza alcun interessamento delle autorità, mentre a
Verona ci sono 10.000 alloggi sfitti». Il presidente Agec Giuseppe
Venturini aveva invitato inizialmente le sei famiglie a salire con lui
al secondo piano, escludendo però che fossero accompagnate dai
volontari della Rete o da chiunque altro. La situazione si è sbloccata
poco prima delle 21 grazie alla mediazione del dirigente della Digos
Iaccarino e alla disponibilità dell’assessore Bertacco che oggi
riceverà le famiglie.

«Solo chi ha diritto avrà l’alloggio, gli altri no»

«Un blitz organizzato contro di noi,
che non siamo stati avvertiti di questa situazione. Chi ha il diritto
ad una abitazione vedrà risolto il suo problema, lunedì prossimo sono
disponibile ad incontrare le famiglie, ma non tutte hanno i requisiti
necessari per avere un alloggio, due ad esempio non sono in regola in
quanto non hanno posizioni regolari con il lavoro e con la residenza».
Afferma così il presidente dell’Agec Giuseppe Venturini, quando alle
12.30 circa scende per la seconda volta al piano terra per incontrare
gli occupanti. Venturini si era già presentato poco dopo l’arrivo degli
immigrati e dei volontari, invitando solo le sei famiglie in questione,
senza i volontari della Rete e del Coordinamento, a salire con lui nel
suo ufficio per discutere. Ma nessuno di loro si era mosso, anche
perché la maggior parte delle famiglie non era al completo. «Da qualche
anno a Verona non si costruiscono più alloggi popolari», cerca ancora
di spiegare Venturini. «L’entità degli alloggi rispetto alla domanda è
minima, ci sono circa 800 casi di emergenza abitativa ogni anno, di cui
riusciamo ad evadere solo il 10 per cento. Speriamo in un finanziamento
della Regione Veneto necessario per la costruzione di nuovi alloggi.
Per fortuna una quarantina di alloggi alla Sacra Famiglia entro
quest’anno ci saranno concessi e questi serviranno per tamponare alcune
emergenze». Di fronte alle proteste dei rappresentanti del
coordinamento, Venturini si arrabbia, soprattutto quando parte qualche
accenno al carattere «politico» delle scelte dell’Agec: «Noi ci
atteniamo alle regole e alla prassi, tutto il resto non sono che
illazioni». Da oggi forse il Comune, con l’assessore Bertacco, darà
udienza a ciascuna famiglia, una per volta, per esaminare le singole
situazioni e verificare se esistono regolari domande all’Agec.

Fonte: DNews, 22/07/2008

Senza casa. Undici ore di tensione ieri nella sede di via Noris, deve intervenire anche la Digos
Sfratti con presidio e lite all’Agec

«Presidente, giovedì vengo a dormire a
casa sua», grida l’albanese Hoti Hamza, agitando una stampella, quando
Giuseppe Venturini, presidente dell’Agec, scende le scale dal suo
ufficio e sbuca nell’atrio. Botta e risposta durissimi, con qualcuno
che gli urla in faccia la rabbia e lui che avverte: «Vi faccio mandare
via». La rabbia è quella di sei famiglie di immigrati, che ieri hanno
protestato con un presidio di undici ore nella sede dell’azienda di via
Noris contro gli sfratti imminenti che nel giro di pochi giorni
rischiano di lasciarli in strada. Due donne con bambini piccoli, una
coppia, più altri nuclei si sono piazzati lì dalla mattina, pranzando
con qualche panino portato da alcuni volontari della Rete sociale per
il diritto alla casa. E minacciando di non muoversi, se non dopo aver
ottenuto soluzioni. Sono arrivati i vigili e anche una volante della
polizia, mentre in Prefettura si teneva una riunione per decidere il da
farsi. Il braccio di ferro è andato avanti fino alle sette di sera,
quando Luciano Iaccarino, dirigente della Digos, ha riferito agli
autori del presidio dell’impegno assicurato dall’assessore ai servizi
sociali Stefano Bertacco a riceverli il giorno dopo in Comune. La
risposta: «Vogliamo un impegno scritto». Alle 21 la proposta
risolutiva: incontri a oltranza con Bertacco oggi e impegno del Comune
a interpellare il tribunale per rinviare gli sfratti imminenti ed
esaminare uno ad uno i casi. E i migranti sono andati a casa.
Venturini, invece, aveva promesso di ricevere le famiglie lunedì. Ma
per alcuni di loro sarà già scattata l’ora X. Il primo sfratto
scoccherà domani e toccherà a Leila Zegihdi, tunisina di 27 anni, madre
di quattro bambini ora alloggiata in una casa di accoglienza in via
Tunisi. Gli altri a seguire. Khaled Ben Hammar, del coordinamento
migranti, spiega che la protesta orchestrata con la Rete sociale e il
collettivo Metropolis è contro la non volontà di dare risposta a tanti
casi disperati e che nei confronti degli immigrati persiste una linea
discriminatoria: «Ci sono famiglie in graduatoria con tutti i requisiti
che si vedono negata la casa. Ci sono i servizi sociali che stanno
cercando di buttare fuori una donna con figli. C’è un nigeriano che si
è visto aumentare il canone. Noi chiediamo che Comune e Prefettura
intervengano per bloccare gli sfratti e che chi è in emergenza abbia
diritto alla concessione di una casa». Leila Zegihdi figura tra questi
casi. Ha un piccino di dieci giorni in braccio e altriche saltellano
attorno di quattro, otto e nove anni. Da dieci anni è in Italia, suo
marito da venti. «Lui lavora, ma siamo senza casa – dice -. Pagavamo,
ma ci hanno dato lo sfratto. Io sono in un alloggio di accoglienza, lui
dorme in auto o da amici. E anch’io ora devo andare via». Vicino a lei
c’è Saadia Bahroune, 36 anni, figli di uno, tre e sei. Dieci anni a
Verona, marito che lavora, sfratto dalla casa in via Romagna da 500
euro al mese. «All’Agec sono messa male in graduatoria. Case sul
mercato non le troviamo: a noi immigrati non le affittano». Hoti Hamza,
albanese, è sposato con la rumena Elisabeta e giovedì dovrà lasciare la
sua casa di Poiano. Ha avuto un incidente in auto e un’operazione al
cuore, non lavora. Lei fa le pulizie, ma il reddito non basta per
ottenere una casa. «Dove andremo? In strada». E poi c’è il nigeriano
Aghimien Uhunmwhngho, casa Agec in via Caccia, che si è visto alzare il
canone da 373 a 492 euro, più la richiesta di 5.906 euro anticipati per
12 mensilità. «Non è mai venuto a ritirare la chiave – accusa il
presidente Venturini -, poteva fare una polizza fidejussoria».
Controreplica Ben Hammar: «A chi ha il reddito basso le banche non le
fanno».

Rete sociale chiede di fermare tutto e requisire le case libere sul mercato
Attivata anche una linea telefonica per gli aiuti.

Bloccare tutti gli sfratti e requisire
le case libere sul mercato, sfitte o in abbandono, sul presupposto
della gravissima emergenza abitativa. Sono le proposte della Rete
sociale per il diritto alla casa, che ha attivato anche una “help –
line”, un linea telefonica di aiuto per chi rischia di trovarsi in
strada, al numero 388-1737372. Gli esponenti dell’associazione chiedono
di rendere operativi i progetti comunali sulla casa, con
l’obbligatorietà della cessione da parte dei proprietari, e di bloccare
le vendite del patrimonio immobiliare pubblico sia Agec che Ater. Tra
le altre soluzioni individuate anche la trasformazione delle caserme
dismesse e sottoutilizzate in alloggi popolari e l’avvio di progetti di
auto recupero delle abitazioni sfitte, affidate a cooperative di
precari e migranti, finanziate con fondi pubblici e privati.

Verona – Panche antirelax: segati i braccioli

Fonte: L’Arena – domenica 23 dicembre 2007 cronaca pag. 12
PROTESTE. Plateale iniziativa dei gruppi della
Chimica e di Metropolis contro il Comune

Panche «antirelax» segati i braccioli

 
Hanno segato due traversine antibivacco, lavorando sodo con l’aiuto
perfino di un compressore e dandoci dentro con il flessibile. A volto
coperto e con gli occhiali da saldatori per non prendersi le «sginse»
negli occhi, hanno lavorato in totale sicurezza, secondo le norme
antifortunistiche. Un’altra parte del gruppo ha invece accompagnato il
gesto che è stato definito definito «simbolico», ma che di certo
simbolico non è, con l’esposizione di uno striscione con scritto
«Lavori in corso per messa in sicurezza».

È accaduto alle 14.30 in
piazza Indipendenza, nei giardini delle Poste, quando gli «Operai
solidali del Comune a venire», come si sono definiti in un volantino,
hanno preso di mira le panchine di ferro, che sono state sistemate dal
sindaco Tosi, nello spazio riservato ai pic-nic. E’ stato un lavoro
eseguito, si fa per dire, di fino. E poi sono spariti, prima
dell’arrivo della polizia.
Ma è bastato un rapido giro attorno
alla zona delle Volanti e negli uffici della questura di Lungadige
Galtarossa sono finiti sette giovani, tra i quali anche cinque
minorenni. I simpatizzanti dei centri sociali sono stati fotosegnalati
e poi denunciati all’autorità giudiziaria per danneggiamento. «Questa
denuncia non ha alcun fondamento», sostiene l’avvocato Roberto
Malesani, «nessuno dei miei assistiti ha partecipato all’operazione
«incriminata». Gli agenti della Digos hanno sequestrato i flessibili e
alcuni passamontagna.
Il gesto è stato subito inquadrato come un
atto vandalico. A sostenerlo anche Giancarlo Montagnoli, ex assessore,
che transitava vicino alle Poste proprio mentre c’erano i «lavori in
corso». Ma per La Chimica e Metropolis si tratta di «un boicottaggio
costruttivo della politica di Tosi».
Il gesto in piazza Viviani è
stato annunciato via e-mail e in piazza erano presenti molti esponenti
della sinistra antagonista. Subito dopo sono arrivati gli agenti della
Digos e alcune volanti della polizia.
In sette sono stati
accompagnati in questura nonostante l’opposizione dell’avvocato del
coordinamento migranti Roberto Malesani. Il legale ha contestato subito
il fatto che nessuno dei fermati era stato colto in flagranza di reato.
Nel frattempo da via Nizza è stata vista transitare l’auto blu di
Flavio Tosi, che però ha tirato dritto. «Esprimiamo solidarietà al
gruppo “operai solidali”, per avere con un gesto forte voluto ridare
dignità alle panchine che devono tornare alla funzione originale,
ovvero di accoglienza», hanno affermato gli esponenti de «La Chimica».
Ma prima o poi potrebbe arrivare il conto.


LA CURIOSITÀ. Il progettista Libero Cecchini:
«Furono messi senza nemmeno avvisarmi»
Ma i sedili antibivacco c’erano già da anni

 
Eccola la madre di tutte le panchine anti bivacco. Da oltre dieci
anni
alla Camera di Commercio in fondo a corso Porta Nuova, stravolgendo il
progetto originale del 1967 dell’architetto Libero Cecchini, hanno
creato con tubi d’ottone «art nouveau» sagomati ostacoli che
impediscono di sdraiarsi sul sedile delle bellissime panche in marmo
del porticato. È proprio questo il prototipo veronese delle «schiene
dritte» obbligatorie, anche perché quelle installate in piazza
Indipendenza non hanno – singolarmente – nemmeno lo schienale.

«Alla
Camera di Commercio», racconta Cecchini, «senza nemmeno dirmi niente,
hanno “sbarrato” le panche in Rosso Sant’Ambrogio che già da sole non
devono essere il massimo del comfort per chi volesse dormirci. Volevano
persino chiudere il porticato, perché a Verona si chiudono tutti i
portici, antichi e moderni».
Quale oltraggio al bon ton urbano sia
costituito dal riposare nei giardini urbani (tutti spelacchiati, tra
l’altro, tranne quelli in Bra), dopo una faticosa visita ai monumenti
della città, remunerativa per casse comunali e commercianti cittadini,
non è dato sapere.
Il problema di chi non può permettersi un
albergo, un ristorante o le poltroncine di un bar non lo si risolve
impedendogli il riposo. Forse basterebbe pubblicizzare maggiormente i
siti in città dove gli indigenti possono trovare un pasto caldo, dei
vestiti, doccia calda, una branda, magari un lavoro part-time. «La pòra
gente», dice Cecchini, «c’è sempre stata, cacciarla vuol dir solo
spostarla. Il problema resta, solo socialmente peggiorato».
La
Camera di Commercio è tra l’altro proprietaria della Domus Mercatorum
in piazza Erbe, un edificio abbandonato da decenni, lordato dai
rifiuti, vuoto, con i vetri rotti, e reso invisibile ai cultori del
medioevo e del rinascimento veronese. Con poca spesa in attesa che ne
decidano l’uso ottimale, potrebbe diventare un bell’ostello provvisorio
per affrontare le emergenze. Non sarebbe un bel ritorno d’immagine per
la proprietà e per l’intera città?

Verona – No al nuovo apartheid e alle politiche razziste

Fonte: L’Arena

IMMIGRATI IN PIAZZA. In Bra manifestazione di protesta del coordinamento migranti. In testa l’avvocato Malesani

«Diciamo basta al nuovo apartheid di Verona. Da oggi sarà guerra contro
questa amministrazione». Roberto Malesani, avvocato del Coordinamento
Migranti di Verona, non usa mezzi termini e, microfono alla mano,
denuncia le «politiche razziste adottate dall’amministrazione Tosi».
Lo
fa in piazza Bra, davanti a 300 immigrati extracomunitari, in
prevalenza del Senegal e del Marocco che si sono dati appuntamento alle
15 di ieri davanti a Palazzo Barbieri. A loro sostegno ci sono anche
cittadini veronesi. Sui cancelli degli arcovoli dell’Arena sono appesi
due striscioni: «Qui il razzismo è di casa, vergogna» e «L’Italia è una
Repubblica fondata sul lavoro…migrante».
Nel mirino dei
manifestanti i recenti provvedimenti del Comune: quello dei dieci (e
non più due) anni di residenza in città per avere una casa Agec e
quello ventilato dal sindaco Flavio Tosi e prima ancora adottato a
Cittadella che nega la residenza a chi non dimostra di percepire almeno
cinquemila euro l’anno.
Poi ci sono i commercianti stranieri che
raccontano di essere presi di mira con controlli a tappeto nei negozi
da parte delle forze di polizia. «Vengono solo da noi», dicono, «perché
extracomunitari: ci prelevano, ci portano in questura e ci fanno
perdere giornate intere di lavoro». «Ci sono i cowboy ma ci sono anche
gli indiani», dice Moustapha Wagne, segretario del Coordinamento. Diouf
Ahmed rappresenta la comunità senegalese di Verona. «Siamo in duemila,
provincia compresa. Lavoriamo all’Aia, in Galtarossa, negli alberghi,
negli autotrasporti. Ho sempre difeso Verona dall’accusa di essere una
città razzista, ci vivo e lavoro da 17 anni, ma ora certi provvedimenti
sono indifendibili».
Alle 16.45 la ghanese Hamiedo Fausia e Khaled
Ben Amm del Coordinamento s’incatenano: resteranno lì «finché non ci
riceve il prefetto o non viene qua Tosi». Malesani convince alcuni
facinorosi a non salire sulle scalinate: carabinieri e polizia
fronteggiano la situazione. Dalla prefettura arriva l’ok e un gruppo di
sei persone tra cui Malesani, Wagne e un rappresentante dei
commercianti, Sall, viene accolto in via Santa Maria Antica.
La
notizia scatena gioia e speranza tra i presenti. Si attende fino alle
18.50 il ritorno della gruppo. Nel frattempo al microfono si alternano
improvvisati comizi. Il leit motive è l’accusa di «usare le politiche
per la sicurezza per controllare, dividere e discriminare, con il solo
risultato di fomentare odio, razzismo e far crescere la povertà
materiale e culturale. A scapito dell’accoglienza e della solidarietà».
In molti si alternano a raccontarci le loro storie. C’è Hamza Chaabane,
che da 10 anni aspetta la casa Agec e che dopo sette anni è stato
licenziato: ha quattro figli e costruiva strade come operaio per una
ditta. Un altro ci racconta che in Galtarossa lavora da dieci anni.
Ora, solo a lui, non permettono più di scaldarsi l’hamburger nel
fornetto: manda cattivo odore, gli dicono. Due giovani ragazze
senegalesi puliscono camere negli alberghi: 5,60 euro l’ora, e in 60
minuti devono pulire tre stanze. Poco prima delle 19 i sei tornano in
Brà. «Un incontro cordiale», spiega Malesani alla folla, «il prefetto
ci ha fatto queste promesse: studiare una modalità per agevolare il
rinnovo dei permessi di soggiorno senza dover aspettare fino al 2009,
incontrarsi con il Comitato per la Sicurezza, composto da Forze
dell’ordine e sindaci, per valutare la modalità dei controlli ai
commercianti stranieri con forme più eque e valide per tutti. Il
prefetto ci ha inoltre confermato che a stabilire le regole per la
residenza in Italia è lo Stato e non il Comune. Daremo battaglia per
cambiare la delibera Agec».
«Siamo tutti uguali», conclude
Moustapha, «chi sbaglia deve pagare, ci batteremo per non essere
discriminati: se le promesse non saranno mantenute entro dieci giorni
torneremo qui e non ci sposteremo finché le cose non cambieranno». Sono
le 19.10, gli incatenati possono slegarsi. L’assemblea, soddisfatta, si
scioglie.