Il nostro inferno al Bolzaneto

Fonte: L’Arena 

IL G8 DI GENOVA
Sono quattro i veronesi vittime dei fatti avvenuti nell’ormai lontano 2001
 

Di Giampaolo Chavan
Un inferno. Ore di panico tra uomini in divisa in balìa dei loro istinti violenti. E botte e insulti come se fosse la cosa più normale del mondo. Una versione terribile quella di alcuni dei 255 giovani, finiti alla caserma del Bolzaneto, diventato un carcere improvvisato durante l’incontro del G8 di Genova il 21 luglio del 2001. E tra loro anche quattro veronesi, tre dei quali si sono costituiti parti civile nel processo in corso a Genova contro 47 appartenenti alle forze dell’ordine. Tra loro Andrea Mancini, 27 anni, residente a Verona (di cui abbiamo già riferito in un articolo del 1. marzo 2006), la giovane R.S., 33 anni, residente a Caprino Veronese, E.T., 27 anni, attualmente all’estero e M.M., 31 anni, residente a Verona, l’unico che si è presentato in aula solo come parte offesa. Due di loro, non hanno alcuna voglia di parlare di quei fatti. Per loro parlano i verbali di udienza di alcune settimane fa (che pubblichiamo in parte qui accanto) nelle quali descrivono le violenze gli insulti e le umiliazioni subite. D’altro canto, anche le 117 pagine della richiesta di rinvio a giudizio per i fatti del Bolzaneto parlano già da sole. Un atto d’accusa durissimo, scritto grazie alle centinaia di testimonianze dei giovani caduti nella rete degli inquirenti. E anche l’altro procedimento in corso per la violenze commesse alla scuola Diaz, sempre a Genova durante il G8, prosegue il suo iter con 29 appartenenti alle forze dell’ordine per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio. Occorre poi ricordare anche che c’è anche un processo contro 25 manifestanti del G8 per il quale il pm ha già chiesto 224 anni complessivi di carcere. «I fatti del Bolzaneto» ha rivelato ieri il padre di una delle vittime veronesi, «hanno cambiato la vita a mio figlio». E le conseguenze di quelle violenze si sono fatte sentire per diverso tempo: «Dopo quei fatti», ha ricordato ieri R.S., «ho avuto gli incubi per diverse notti. Ma mi è servito perchè mi ha aperto gli occhi su molte cose». Tra queste anche quelle elencate in dettagliati documenti, sottoscritti dai pm della procura di Genova. Nel processo del Bolzaneto, le accuse a carico dei 47 uomini in divisa vanno dall’abuso in atti d’ufficio alla violenza privata, alle lesioni, al falso in atto pubblico, riferito ai verbali d’arresto dei manifestanti, costellati secondo la procura di Genova, da una serie di accuse fasulle. A parere del pm, i giovani arrestati al Bolzaneto «erano obbligati a mantenere per lungo tempo posizioni umilianti inumane e disagevoli, in piedi con le braccia alzate o dietro la schiena». Come se non bastasse, subivano offese e insulti di ogni tipo come «bastardi comunisti», «Che Guevara figlio di p…», «popolo di Seattle fate schifo». Sono stati costretti anche ad ascoltare filastrocche come «un, due tre viva Pinochet, quattro cinque, sei a morte gli ebrei». E poi c’erano «le percosse, minacce, sputi, risate di scherno, urla canzonatorie». Anche andare in bagno in quei due giorni di detenzione era una tortura: «Nell’accompagnamento venivano tenuti con la testa abbassata all’altezza delle ginocchia e le mani sulla testa e venivano derisi, ingiuriati e colpiti».

In cella, in piedi tra botte e insulti

«Mi ricordo di avere in qualche modo chiesto che rispettassero i miei diritti e mi è stato risposto che … non avevo diritti perchè ero una merda». La testimonianza del veronese E.T., durante il processo contro 47 appartenenti alle forze dell’ordine, apre il sipario su alcuni particolari verificatisi tra il 21 e il 23 luglio di sei anni fa a Genova. La vittima veronese era stato colpito alla scuola Diaz, secondo la richiesta di rinvio a giudizio del pm di Genova, «con un manganello e con una sedia scagliata allo zigomo sinistro». Ma era solo l’inizio. In cella al Bolzaneto, racconta il ventisettenne, «ci hanno fatto stare in piedi, con le gambe aperte e braccia contro il muro». Ma non mancavano anche le violenze: «Non ho subito percosse», riporta il verbale della testimonianza del giovane, «ricordo, però, di uno spagnolo che ha abbassato le braccia ed ha preso un calcio da un ufficiale, un uomo in divisa». Anche la veronese R.S. è stata costretta ad assistere ad un gesto violento: «In cella, avevano ordinato anche ad una ragazza con il braccio fasciato. ma non ce la faceva, l’ha abbassato e si è messa a piangere. È venuto uno e gli ha dato una sberla sulla faccia contro il muro». Sulla testa dietro? gli domanda il pm. L’ha colpita in modo tale che «il volto è andato a finire contro il muro». Gp.Ch.