Verona. Il caso dei lavoratori della coop. Genius. Perseverare nella lotta per conquistare e riaffermare diritti

Veronella, provincia di Verona, 21 febbraio 2008 

Due giorni di lotte, picchetti e blocchi da parte dei lavoratori dell’allora cooperativa Excel e dell’attuale coop. Genius hanno permesso di sbloccare l’ennesima situazione di sfruttamento da parte di una delle tante cooperative di servizi del nord-est che ricevono appalti e sub-appalti dalle multinazionali di trasporti. In realtà la lotta contro la DHL e il consorzio Usca con le cooperative affigliate risale al 31 dicembre 2007 quando una trentina di operai decisero di uscire dall’invisibilità bloccando camion e linee di carico per denunciare il consorzio Usca che con l’avvallo della multinazionale DHL si accingeva a licenziare senza preavviso trenta lavoratori per bloccare gli scatti di anzianità e per ridefinire dietro il ricatto della possibile riassunzione nella nuova coop. mansioni e inquadramento o per sostituirli come in questi giorni con altre persone "fidate".

Ma lo stratagemma non ha funzionato perché i lavoratori in lotta con il supporto del sindacato ADL RdB Cub, degli attivisti del coordinamento Migranti, del collettivo Metropolis, della Chimica, hanno bloccato i camion, hanno imposto il riconoscimento dei diritti sindacali immediati (pagamento degli stipendi arretrati, passaggio diretto nella nuova coop.), hanno aperto una vertenza sindacale che prevede per domani un incontro a Verona tra i rappresentanti sindacali dei lavoratori ADL, il responsabile della logistica DHL con il presidente della nuova coop. e il prefetto. Una prima vittoria che rovescia i termini di forza perché oggi a concordare la trattativa sono gli stessi che fino a ieri minacciavano i diritti dei lavoratori.

La vittoria di una battaglia che non ha territorio perché le forme e le situazioni di sfruttamento nel nord-est della fabbrica diffusa e globale sono all’ordine del giorno, come sono sempre più evidenti e diffuse le lotte per farne fronte. Una conferma che i diritti si conquistano perseverando nelle forme di lotta autonome che di fatto costituiscono all’interno del panorama lavorativo e sindacale attuale, una nuova prospettiva di rivendicazioni e conquiste come nei casi di Padova (TNT International) e Verona (DHL).

Sindacato di base ADL RdB Cub Verona

Verona. Bloccato l’ennesimo sfratto

Questa mattina è stato bloccato l’ennesimo sfratto dagli attivisti della Rete Sociale per il Diritto alla Casa che doveva avvenire questa volta non per morosità ma per fine locazione ai danni di Antonio una persona di 49 anni, con un’invalidità civile sul lavoro del 50% che da otto anni vive nel quartiere popolare di Borgo Venezia.La storia di Antonio è simile a tante altre storie che parlano di precarietà e di lavori saltuari per tirare avanti e per poter pagare un affitto di 420 euro per un bilocale al nono piano di un palazzo periferico.La storia di una persona che fatica a trovare alternative abitative in una città zeppa di appartamenti sfitti (pubblici e privati) e di agenzie immobiliari esose ed escludenti non solo verso le persone migranti (l’inchiesta svolta alcuni mesi fa ne ha svelato il razzismo) ma in genere verso coloro che come Antonio sono invalide.

Antonio come tante persone si è rivolto all’Agec (l’Azienda Gestione Edifici Comunali di Verona) per poter accedere ad un alloggio pubblico. La risposta è stata negativa perché il regolamento per l’assegnazione degli alloggi pubblici è stato modificato l’autunno scorso dall’amministrazione di destra che pone come per i migranti delle regole peggiorative per poter ottenere diritti fondamentali come quello della casa. Infatti per accedere agli alloggi pubblici la giunta Tosi per i migranti ha imposto la residenza da almeno 10 anni, per le persone invalide come Antonio per ottenere un alloggio richiede il requisito minimo di invalidità del 75% ed il compimento del 50esimo anno d’età.  Ironia della sorte: Antonio ha 49 anni e un’invalidità minore. Ma Antonio questa mattina non era solo ed invisibile. Con lui, ad aspettare l’ufficiale giudiziario, c’erano una quarantina di attivisti che, con volantini, striscioni e megafono, oltre ad ottenere il rinvio dello sfratto fino a giugno 2008, mese in cui Antonio compirà il 50 anno di vita (conseguendo uno dei requisiti richiesti dalle normative comunali), hanno “messo in mostra” agli abitanti del quartiere il dramma dello sfratto e dell’emergenza abitativa che colpisce italiani e stranieri, pensionati, lavoratori precari, studenti…La denuncia e l’allarme lanciato dagli attivisti è stato chiaro: ogni giorno a Verona vengono eseguiti 2 sfratti al giorno molti per morosità, nella totale indifferenza delle istituzioni, mentre centinaia di abitazioni private e pubblicate rimangono sfitte e abbandonate e sono preda della speculazione edilizia.

In questi mesi la Rete Sociale ha preso sul serio le parole dell’assessore alle politiche giovanili Bertacco che si rendeva disponibile a prendere in esame le segnalazioni delle emergenze abitative intercettate dagli attivisti che puntuali gli giungevano. Gli attivisti di fatto hanno svolto e svolgono le funzioni di un’agenzia di intermediazione per il diritto alla casa informando, mediando, proponendo soluzioni praticabili, alternative alle sterili iniziative assistenzialiste di cui si è fatta vanto la precedente amministrazione e sulle quali sta ripiegando anche quella attuale.Oggi il diritto alla casa è stato messo in sicurezza perchè non solo si è bloccato l’ennesimo sfratto impedendo che una persona finisse per strada, ma ci si è ritrovati in molti a ribadire che le soluzioni abitative ed i diritti vanno difesi e conquistate attraverso le mobilitazioni e la lotta.

Rete Sociale per il Diritto alla Casa (Collettivo Metropolis, Coordinamento Migranti, Chimica)

Guarda il video

http://www.youtube.com/watch?v=95z_Dry6nLY

Verona. Difendiamo le nostre vite

DIFENDIAMO LE NOSTRE VITE
Martedì 26 febbraio nella sala della Gran Guardia si svolgerà un convegno sulla figura di Gesù di Nazareth. Ospite d’onore il cardinale Camillo Ruini che terrà la lectio magistralis.
In apparenza un incontro teologico ma in una prestigiosa sala pubblica (concessa gratuitamente) e con un personaggio come Ruini. Niente di più facile che il tutto si trasformi in un evento politico, palcoscenico ideale per qualche nuova esternazione  del cardinale.
Camillo Ruini è infatti uno dei più convinti sostenitori della necessità dell’ingerenza della chiesa nella vita politica e sociale italiana e non ha mai perso occasione per mettere in pratica tale teoria, dalle crociate contro i pacs e contro i diritti delle coppie omosessuali a quella contro il referendum sulla procreazione assistita, dal rifiuto del diritto ad una morte dignitosa alla rivendicazione dell’identità culturale cristiana da contrapporre all’invasione islamica, agli strumentali attacchi contro la 194.
Per ultima la campagna di Giuliano Ferrara per la moratoria sull’aborto, che provocatoriamente equipara l’interruzione di gravidanza alla pena di morte e le donne ad assassine, ha trovato in Camillo Ruini un convinto sostenitore.
Per tutto questo non riteniamo di dover accettare in silenzio la presenza di Ruini nella nostra città.
Siamo stanche di questa chiesa crudele e intollerante che pretende di decidere al nostro posto nei momenti più delicati e intimi della nostra vita come scegliere se avere o non avere un figlio o affrontare la ricerca di una maternità quando questa è difficile e costringe a cure, tentativi e fallimenti.  Una chiesa che disprezza le donne e sembra considerare il nostro corpo un semplice contenitore che deve preservare la Vita a qualunque costo, anche a scapito della nostra.
Pensiamo che le posizioni di Ruini e delle gerarchie ecclesiastiche alimentino un clima dove diventa possibile un episodio agghiacciante come quello di Napoli, utile per offrire all’opinione pubblica la nuova figura della madre assassina, della madre “feticida”.
E riteniamo inaccettabile che niente si dica invece della vita reale delle donne, che non si parli della violenza contro le donne, della violenza dei nostri mariti, fidanzati, padri e fratelli dentro famiglie e rapporti “normali” che ci uccide più di qualunque malattia; che non si parli del peso e della fatica del lavoro che per le donne è sempre il più precario, il meno pagato, il meno gratificante anche quando siamo le più brave, le più intelligenti, le più studiose; che niente si dica della solitudine terrificante, dell’isolamento di tante donne nelle loro case a occuparsi senza alcun sostegno di bambini, mariti, anziani e malati, condannate a sostituire tutto quello che nella società non c’è più.
Questa è la vita delle donne, queste sono le nostre vite.
Noi vogliamo difendere le singole vite di tutte e tutti fatte di corpi, desideri e sogni, smarrimenti e fragilità e non l’astratta Vita su cui si vuole esercitare un potere e un controllo assoluti.
Non ci interessa la Famiglia ma le tante e diverse famiglie, i tanti e diversi modi che donne e uomini hanno di mettere insieme affetti e bisogni.
Questo vogliamo ricordare a Ruini e ai suoi interessati sostenitori. Non potranno mai ridurre le tante cose che siamo e vogliamo essere alle loro astratte e violente ossessioni. Per questo vorremmo essere in tante martedì sera in piazza Bra all’esterno della Gran Guardia. Una presenza aperta al contributo di tutte e di tutti.

Adesioni:
Le donne della Chimica, del Circolo Pink, del Metropolis Café, di Sinistra Critica, Fuxia Block-Collettivo Scienze Politiche Padova,Arcigay Pianeta Urano Verona, Arcilesbica Verona, Facciamo Breccia, Drasticamente Padova, Coord. Transessuale naz.”Silvia Riviera”, Transgender Pink Verona, Anna Maria Bruni, Miria Pericolosi, Lia Arrigoni, Raffaello Della Penna-Milano, Saverio Aversa- diritti e culture delle differenze PRC Sinistra Arcobaleno, Liliana Salvatori, Collettivo femminista e lesbico VengoPrima Venezia, Donata Gottardi deputata Parlamento europeo, Centro sociale Magazzino 47 Brescia, Collettivo 40tette Brescia

Verona. Immigrati e lavoro. Il Coordinamento Migranti ricevuto ieri dal prefetto

Fonte: L’Arena – domenica 17 febbraio 2008 

«Sanatoria per tutti i migranti»

 Il presidio voluto dal Coordinamento Migranti, Metropolis e Iww, in piazza Dante sotto le finestre della Prefettura per ribadire i bisogni sociali riguardo permessi di soggiorno e casa, non è passato inosservato. Il prefetto Italia Fortunati ha ricevuto una delegazione formata da Roberto Malesani, legale del Coordinamento migranti, e da Mustafà Wagne presidente della stessa associazione, e ha ascoltato le loro richieste. In primo luogo il bisogno di una sanatoria permanente per tutti i migranti.Per Malesani infatti la procedura dei flussi voluta nel 2007 si è rivelata una «fregatura». «La maggior parte delle domande non sono pervenute per inefficienza del sistema informatico preparato dal Governo», spiega, e porta a esempio le 250 domande inserite nel sistema dalla sede del coordinamento alle 8 del 15 dicembre ma recepite alle 14.30, risultando forse fuori norma. «Delle 700 mila domande presentate solo 170mila verranno accolte ma non si sa con quali criteri». Il problema non è solo questo: per il rinnovo dei 70 mila permessi gestiti a Verona si parla di appuntamenti per l’80 per cento dei migranti nel 2009.«Questo comporta che l’80 per cento delle persone in regola con il permesso di soggiorno finisce nel calderone di quelli che in regola non lo sono», precisa Wagne, «i dati sulla clandestinità quindi non sono reali. Se a questo si aggiunge che senza il permesso di soggiorno si creano ulteriori problemi, ci si rende conto che la situazione è drammatica».Nel volantino consegnato ai passanti si legge: «Oggi in Italia ci sono un milione e mezzo di immigrati irregolari, lavoratori che mandano avanti l’economia italiana ma che attendono una sanatoria che non verrà mai, anche se sarebbe l’unica cosa giusta da fare».Tra le richieste al prefetto anche quella di vedere subito applicato l’accordo prefettura-questura previsto dal Governo che delega a quest’ultima la gestione diretta della consegna dei primi ingressi e ricongiungimenti familiari, senza passare dalle Poste; la fine della procedura di rinnovo del permesso tramite le Poste; la proroga del vecchio permesso di soggiorno fino alla consegna del nuovo; la cancellazione delle due delibere Agec che rendono l’accesso alla casa pubblica difficoltosa per gli immigrati.Proprio ieri dal portale del Governo risultava che 223 Comuni italiani erano invitati a sperimentare una nuova procedura di rinnovo dei permessi che prevede un passaggio diretto anagrafe-questura. Tra questi però non figura Verona.

Migranti – Nuove forme di sfruttamento e nuove modalità di lotta

Intervista a Sandro Chignola, docente alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Padova.
Dal rapporto di MSF sulle condizioni di lavoro stagionale ai licenziamenti ai danni di un centinaio di lavoratori delle cooperative da parte della multinazionale TNT. Lavoro, immigrazione, sfruttamento, intorno a questo nesso una interessante chiave di lettura del presente. Abbiamo intervistato Sandro Chignola, docente presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Padova.

La cronaca di questi giorni riguarda soprattutto il padovano ed in particolare il licenziamento di un’ottantina di lavoratori, quasi tutti stranieri, che lavoravano per il colosso TNT, lavoro appaltato tramite il sistema delle cooperative.

Vai allo speciale Padova – Serrata del colosso TNT. Cento lavoratori licenziati, quasi tutti migranti

D: Immigrazione e sfruttamento: da un lato la legge Bossi-Fini, dall’altro la legge 30, consentono di fatto lo sfruttamento degli stranieri, regolari e irregolari, sia da parte delle cooperative modello Nord-Est sia nel lavoro stagionale nelle campagne del Sud Italia, come sottolineato dal rapporto presentato in questi giorni da Medici Senza Frontiere (MSF). Io partirei proprio da qui, dal tratteggiare in modo sintetico questo quadro.

R: Mi sembra che i due dati che proponi nella discussione colgano perfettamente questo fenomeno, nel senso che, se si guarda anche la stampa mainstream, il rapporto di MSF riferito a questa condizione di semi schiavitù dei lavoratori stagionali nelle campagne del Sud Italia sembra marcare un’eccezione, come se quello fosse un caso limite rispetto alla procedura di integrazione dei migranti che sono quelle sulle quali poi vengono costruite le retoriche sui clandestini immigrati regolari.
Io mi chiedo invece se il rapporto di MSF non rappresenti semplicemente l’altro lato di una specie di integrazione impossibile che è evidenziata esattamente da questo caso emblematico delle cooperative del subappalto della TNT.
Io mi chiedo, appunto, visto questo episodio che tu giustamente riferisci a Limena e Padova ma in realtà è diffuso in tutto il Nord Est visto che, ad esempio, TNT gioca a spostare i propri magazzini, le proprie catene di sfruttamento, tra Vicenza e Padova e Verona a seconda di dove sia possibile forzare i limiti dell’auto-organizzazione dei migranti, ecco, mi chiedo se questo tipo di integrazione, fatta di meccanismi di ricatto come quelli che legano il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, come la legge 30 e la precarietà, non rappresentino invece altrettante forme di invisibilizzazione, di meccanismi di filtro e di sfruttamento che rendono molto meno giustificabile una, per così dire, apologia dei meccanismi di integrazione: qui si tratta appunto di migranti che hanno un lavoro ufficialmente regolare e che vengono incatenati a meccanismi di sfruttamento semi-schiavile.
Quello che trovo emblematico a proposito di questo caso della TNT non è, semplicemente, la commistione tra post-fordismo e organizzazione del lavoro iper-flessibile e moderna così, come si evidenzia dentro catene che hanno a che fare con il logistico, i magazzini e la circolazione delle merci e delle informazioni, che questo tipo di organizzazione post-fordista mantiene in condizioni di sfruttamento bestiali, ciò che trovo emblematico è che là dove i migranti si auto-organizzano, si strutturano attraverso una presa di parola che reclama diritti, si auto-organizzano autonomamente al di fuori della rappresentanza sindacale, lì, diventa fortissimo l’attacco, come se, appunto, i meccanismi di integrazione fossero possibili soltanto passivizzando i migranti e non riconoscendo mai il dato di soggettività che si esprime attraverso il lavoro.

D: Certo, tu parlavi di forme auto-organizzazione, mobilitazione e iniziative e mi sembra che nell’ultimo periodo stiamo assistendo ad una presa di posizione molto forte da parte di cittadini stranieri nei nostri territori: penso allo sciopero a Brescia per quanto riguarda il permesso di soggiorno, penso alle manifestazioni alle mobilitazioni e penso anche a questa iniziativa di Limena: andando al presidio permanete davanti alla TNT si vede una forte presa decisionale da parte di questi cittadini migranti che non accettano nessun tipo di ricatto.
E’ il segno di qualcosa che sta cambiando?

R: E’ probabilmente un segno di qualcosa che sta cambiando sulle forme organizzative, ma diciamo così che, fin dall’inizio, dal modo nel quale si è provata a decifrare la questione del lavoro migrante, in qualche maniera, si è contrapposto questa retorica caritatevole e passivizzante, che trattava la migrazione come semplicemente un problema sociale a, invece, una interpretazione del diritto di fuga che si esprime attraverso i migranti, ovvero la loro soggettività che è quella di sottrarsi alle condizioni di sfruttamento nei paesi d’origine e la mobilità fortissima che caratterizza la loro permanenza sul nostro territorio: insomma il migrante è di per se, da sempre, un soggetto in esodo, in fuga dalle condizioni di sfruttamento ed esattamente quello che mi mi sento di dire è che questi strumenti legislativi che sono stati messi in essere, la legge Turco-Napolitano, la legge Bossi-Fini e così via sono tentativi proprio di imbrigliare, di tenere e inchiodare a regimi di sfruttamento il lavoro di tipo migrante. Quel sistema di ricatto a cui accennavo poco fa, il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro è solamente uno di questi meccanismi.
Quello che sta cambiando, secondo me, da alcuni anni, a partire dai nostri territori, tu giustamente citi la manifestazione di Brescia, le cose successe a Padova, Verona e Treviso negli ultimi tempi e così via, è, diciamo così, questo attraversamento diverso delle formule organizzative, sindacali e politiche, che i migranti si sono dati: c’è una specie di diritto di fuga che viene esercitato anche nei confronti delle organizzazioni sindacali ufficiali spesso complici, come mi sembra di capire anche in questo caso della TNT, di meccanismi vischiosi, lobbistici di sfruttamento dei migranti, un esodo ovviamente anche dalla forma di rappresentanza partitica ufficiale, visto che gli immigrati non hanno diritto di voto e, come dire, vengono sfruttati solamente per garantire legittimità e presentabilità al centro sinistra rispetto al centro destra in consulte fantasiose che vengono messe in piedi dai governi di centro sinistra cittadini.
Dicevo un diritto di fuga che si esprime attraverso una soggettività delle pratiche di movimento che mi sembra straordinariamente innovativo nelle pratiche di autorganizzazione dei migranti negli ultimi anni: nella lotta contro i CPT, nelle lotte sul posto di lavoro, nelle lotte sui diritti di cittadinanza, i migranti si sono, sempre più spesso, avvicinati alle pratiche di movimento e soprattutto hanno portato un arricchimento significativo nella stessa agenda di lotta dei movimenti.
A me sembra che il dato più significativo degli ultimi anni è esattamente questa dimensione di autorganizzazione, di attraversamento delle strutture di movimento, dei centri sociali, del sindacalismo di base che gli immigrati hanno praticato come forma di una presa di parola che si sta manifestando ormai incomprimibile.

D: Quando si parla di migranti, necessariamente, si parla di confini.
Siamo di fronte a un duplice processo: da una parte, appunto, una messa a punto di politiche di esternalizzazione di questi confini, si parla di confini materiali ovviamente, dall’altra invece assistiamo a processi di flessibilizzazione e inclusione differenziale, sia dal punto di vista del diritto di cittadinanza, sia dal punto di vista del lavoro, in Italia, come in Europa. Cosa significa e cosa implica questo tipo di stratificazione sia della cittadinanza sia del lavoro?

R: Secondo me significa due cose essenzialmente, la prima riguarda gli spazi e i tempi del nostro agire politico e dei modi attraverso i quali vengono riarticolati i processi di cittadinanza. Prima accennavo al fatto che una delle trasformazioni fondamentali del capitalismo e dell’accumulazione nei nostri territori è rappresentato fondamentalmente da questa abolizione o quasi dei magazzini, da questa esternalizzazione, che organizza diversamente i circuiti della messa a valore, di un capitalismo che sempre più è fatto di mobilità delle merci, cosa che tra l’altro è dimostrata anche da quello sciopero clamoroso dei camionisti di qualche mese fa, che con un blocco di fatto della circolazione hanno ottenuto tutto quello che volevano. Un capitalismo che si fa attraverso i flussi di informazione, l’organizzazione sincronica della circolazione delle merci e al fianco di questo, attraverso produzione semi-schiavile, come quella del facchinaggio che è quella che gli immigrati svolgevano attraverso queste cooperative alla TNT. Lavoro notturno, turni pazzeschi e assenza di diritti, ecco, io credo che anche questo sia proprio uno dei modi attraverso i quali si esemplifica la riorganizzazione dei confini nei nostri territori, in Europa e su scala globale.
Il confine noi siamo abituati a pensarlo come una barriera che identifica in modalità binaria chi è dentro e chi è fuori, invece dobbiamo cominciare a ragionare su spazi e tempi dell’organizzazione politica delle nostre iniziative per cui i confini sono mobili, sono forme attraverso le quali si organizzano meccanismi di filtro dell’erogazione dei diritti di cittadinanza e del salario, che in qualche maniera prevedono l’organizzazione di tempi e di spazi differenziati. Si tratta di capire come dobbiamo riformulare le nostre agende politiche all’interno di questi ragionamenti sui confini che sono mobili, che non prevedono più un dentro o fuori lineare: un CPT è una forma di confine, il problema è per esempio capire se un CPT è quell’attrezzo murato, orribile, che abbiamo visto a Gradisca o a Bologna, o se invece un CPT non siano anche queste forme di sfruttamento, di restringimento di erogazione dei diritti che fanno di un CPT una struttura mobile non solo perché esternalizzato al di fuori dell’Europa, ma anche nelle nostre città.
Ci sono quartieri interi che sono come CPT, grandi zone d’attesa, come quelle che vedevamo una volta negli aeroporti internazionali, che sono quelle zone di attesa per lavoratori senza diritti in molte delle nostre città dove i caporali vanno a prendere i migranti per farli lavorare, o dove vanno a prendere i clandestini per i cantieri edili come ha mostrato una lotta molto significativa negli ultimi anni a Reggio Emilia.
Io credo che, appunto, questo ragionamento sui confini, sugli spazi e sui tempi differenti, sull’inclusione differenziata ci debba servire per far partire grandi meccanismi di inchiesta con i migranti, per comprendere come funzionano i nuovi regimi di sfruttamento, come funzionano i nuovi regimi di restringimento o di allargamento, a seconda delle condizioni, dei diritti di cittadinanza a e per comprendere quali siano i punti per attaccare questa logica di gerarchizzazione che, secondo me, riproduce spazi coloniali dentro le nostre città, dentro i nostri territori.
Ragionare sugli spazi e sui tempi significa differenziare le nostre agende di lotta e renderle più flessibile, cercare di comprendere dove si può colpire per fare male perché, secondo me, c’è un male più grande che dobbiamo evitare che non è semplicemente il razzismo esplicito delle retoriche securitarie ma questo razzismo più "soft" che permette la ridescrizione di spazi coloniali dentro le nostre città.

La protesta contro i licenziamenti TNT-Fast Coop si allarga anche a Verona

La lotta dei lavoratori della GESCONET si allarga anche a Verona dopo i blocchi e le proteste di Padova e Vicenza.

Una cinquantina di lavoratori del sindacato ADL RDB/CUB con il supporto degli attivisti del Collettivo Metropolis e del Coord. Migranti ieri sera hanno bloccato l’ingresso della TNT Global Express impedendo ai camion di caricare per tempo le merci destinate al mercato nazionale e mondiale.

Una lotta tenace e giusta per ribadire che i diritti e la dignità dei lavoratori non si possono trattare come merci da multinazionale. I diritti dei lavoratori non si possono spostare, imballare o scartare! Questo è stato urlato anche ai dirigenti della filiale TNT Global Express di Verona che con la complicità della cooperativa Fast-Coop appartenente al Consorzio Gesconet ha licenziato a Padova cento lavoratori.
Un’altra storia crudele giocata sulla pelle dei migranti e dei lavoratori che va a colpire la vera emergenza nazionale e regionale: la sicurezza dei diritti violata nella dignità del lavoro e nella garanzia di un reddito. Una realtà fatta di sofferenza quotidiana che accresce la rabbia di chi si vede senza lavoro perché ha il coraggio di rivendicare e conquistare i diritti sindacali.
 Ma non finisce qui perché i fuochi accesi in questi giorni potrebbero divampare ovunque.

ADL RdB-Cub Verona – Coordinamento Migranti – Collettivo Metropolis

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Verona. Famiglia sfrattata, stop dal prefetto

Fonte: L’Arena – giovedì 17 gennaio 2008 cronaca pag. 12

LA VICENDA. La dottoressa Italia Fortunati ha ottenuto una proroga a favore dei nigeriani residenti alle Golosine colpiti da un provvedimento esecutivo

Famiglia sfrattata, il prefetto li soccorre in extremis. È stato il prefetto Italia Fortunati a chiedere una proroga di qualche giorno per uno sfratto esecutivo in via Caccia al civico 5, nel quartiere Golosine. Questa volta a finire sulla strada doveva essere una famiglia nigeriana, gli Aghinien, composta da mamma, papà, quattro figli; il primogenito ha 13 anni, il secondogenito nove, una bimba di sette e il più piccolo non ha ancora due anni.

L’INTERVENTO. A chiedere l’intervento del rappresentante dello Stato è stato il coordinamento migranti per voce dell’avvocato Roberto Malesani. Ieri è stata una mattina caratterizzata dal susseguirsi di telefonate, fatta di richieste di aiuto mentre l’ufficiale giudiziario accompagnato dalla forze dell’ordine e dalla Digos, intervenuta sul posto visto l’interessamento degli esponenti del Centro sociale La Chimica, arrivati per dare un concreto aiuto alla famiglia, notifica il sopravvenuto sfratto esecutivo. Dall’altra parte oltre alla camionetta della polizia, alle volanti partite dalla caserma di Borgo Roma, il proprietario dell’appartamento, Marco Venturi, accompagnato da uno degli avvocati dello studio legale Caprara.
Lo stabile dove vivono gli Aghinien non lo si può di certo definire signorile: il cappotto che riveste la struttura è logoro, l’entrata si presenta con muri scrostati e l’impianto elettrico esterno. Le scale sono strette e sporche. L’appartamento, all’ultimo piano di 70 metri quadri si divide in un cucinotto, un soggiorno, due camere e un bagno. Il canone è di 750 euro mensili. L’impianto idraulico lascia a desiderare così come quello elettrico. «Basta un salvavita perché sia a norma», assicura il proprietario.
LE VALIGE. Gli Aghinien hanno provveduto a mettere sul pianerottolo il frigorifero, due televisori. Le valigie sono fatte, non si oppongono allo sfratto dato per morosità ancora il 19 dicembre del 2006 e che sarebbe dovuto essere definitivo già un mese dopo. E anche se su quel «per morosità» c’è molto da dire. Dalle ricevute esibite dal capofamiglia risulta che gli affitti compresivi di spese legali erano stati saldati ancora prima dell’udienza di convalida dello sfratto per un totale di 4.500 euro a fronte della richiesta della proprietà che ne chiedeva 4.350.
Agec ha già assegnato alla famiglia nigeriana un appartamento: vi sarebbe dovuta entrare tra la fine di aprile e l’inizio di maggio. Gli Aghinien sono extracomunitari con le carte in regola: il papà lavora per una cooperativa, fa lo stradino. Ha un lavoro fisso da più di cinque anni. Non è mai rimasto con le mani in mano. Nella stessa casa vive anche sua sorella. Lei invece non ci sta a farsi buttare in strada. E si incatena al divano.

IN AUTO. «Non chiedo elemosina. Mi hanno già fregato una volta. Se la mia famiglia non potrà rimanere unita significa che dormiremo in automobile», afferma il capofamiglia. I loro figli sono ben integrati, vanno tutti a scuola. Il più grande frequenta le superiori alla scuola inglese a Roma. Il suo sogno è quello di fare il meccanico, quello che mamma Patience ha per lui è che possa tornare nella sua terra e vivere felice, senza soffrire la fame, la guerra, la paura.
I rappresentanti della Chimica hanno appeso uno striscione al balcone dell’appartamento dei nigeriani e con un altoparlante sono tornati a ribadire i concetti fatti di diritto alla casa, di rispetto dei diritti umani. Per loro le ultime delibere Agec svantaggiano gli immigrati. E dalla strada un tunisino ha invitato gli extracomunitari ad incrociare le braccia in tutta la regione. «Senza di noi si fermerebbe tutto». Gli Aghinien sono diventati il simbolo dei migranti costretti a vivere in case definite a norma e a pagare affitti stratosferici.

Altri articoli:
il Verona
Corriere di Verona

Verona. Bloccato lo sfratto di una famiglia nigeriana

Oggi a Verona è accaduto un fatto nuovo nell’ambito delle emergenze abitative e della lotta contro gli sfratti. Gli attivisti del Patto contro la Precarietà sono riusciti a bloccare il terzo tentativo di sgombero da parte dell’ufficiale giudiziario (altre due volte si era già riusciti a rinviare lo sfratto) con una resistenza protratta per ore, dalle prime luci dell’alba fino a pomeriggio inoltrato.

Uno sfratto coatto ai danni di una famiglia nigeriana composta da sei persone delle quali quattro minorenni che questa volta il proprietario privato voleva eseguire a tutti i costi richiedendo l’impiego della forza pubblica che a metà mattinata s’è materializzata in un dispiegamento di celere e volanti non indifferente. Una famiglia che da mesi aspetta l’assegnazione di un appartamento pubblico e che è riuscita a resistere ai tentativi di sfratto uscendo dall’invisibilità denunciando la situazione di degrado in cui l’appartamento versa a fronte di un affitto mensile di 750 euro.

Per otto ore gli attivisti, dal balcone di uno dei tanti palazzi della cerchia periferica della città in un quartiere ad alta densità di migranti, hanno resistito sensibilizzando gli abitanti del quartiere rispetto all’emergenza abitativa che anche a Verona, nel ricco nord est conta 2500 sfratti in via di esecuzione molti dei quali per morosità. La storia di questa famiglia nigeriana fa parte di un pezzo di storia delle lotte avvenute in questi due anni a Verona costruite attraverso le occupazioni delle case lasciate colpevolmente sfitte e abbandonate dagli enti pubblici comunale (Agec) e regionale (Ater), attuate attraverso tentativi di blocchi agli sfratti, incontri pubblici, un video autoprodotto e un’inchiesta che ha svelato il razzismo delle agenzie immobiliari interpellate (circa una ventina) perché le stesse si rifiutano di affittare ad una persona solo perché migrante.

Oggi lo sgombero coatto è stato bloccato grazie ad una resistenza decisa che ha saputo comunicare le ragioni del diritto, ed ha saputo costruire una una mediazione che ha coinvolto loro malgrado, prefetto, questore e alcune forze politiche. Questo è un accordo che crea un precedente dato che la famiglia non è stata sgomberata nonostante fosse pronto l’intervento della celere, perché il prefetto ha accettato di incontrare alcuni rappresentanti del patto contro la precarietà ed ha sollecitato l’assessore alle politiche sociali della giunta Tosi di risolvere l’emergenza abitativa della famiglia entro breve.

E’ una prima vittoria consci che il percorso è ancora lungo ma di fatto oggi abbiamo posto all’attenzione dell’opinione pubblica veronese l’emergenza abitativa quale tassello di una problematica ben più ampia legata alla precarietà, al reddito e alla dignità delle persone, emergenza che può essere affrontata e risolta ponendo come priorità il soddisfacimento dei diritti e la garanzia della loro sicurezza.