La rete sociale per il diritto alla casa intercetta l’ennesima emergenza abitativa e occupa con una famiglia nigeriana con tre bambini i servizi sociali del comune di Verona, dopo che la stessa era stata sgomberata da una casa famiglia in cui si trovava alloggiata. Dopo dieci ore di occupazione dei servizi sociali la situazione si è sbloccata solo a sera quando, dietro pressione degli attivisti, l’assessore del comune di Verona ha trovato un alloggio alla famiglia, evitando che la stessa finisse per strada. L’emergenza abitativa fa emergere un altro caso emblematico: una famiglia che perde la casa nel comune di San Giovanni Lupatoto alla porte di Verona, assessore e servizi sociali che dividono il nucleo famigliare dando alloggio temporaneo in una casa famiglia in un altro comune solo per mamma e tre bambini. Difficoltà di ottenere una casa comunale, la perdita del lavoro e problemi famigliari aggravano la situazione della famiglia che non trova alloggi alternativi mentre il padre è costretto a dormire in macchina. Fino a ieri quando i vigili del comune di San Giovanni Lupatoto intervengono e sgomberano la mamma con i tre bambini che trovano nella Rete Sociale una speranza che si concretizza la sera stessa trovando un alloggio temporaneo . La situazione tuttavia rimane ingarbugliata e tesa perchè di fatto chi ha trovato alloggio temporaneo alla famiglia non è il comune di San Giovanni ma quello di Verona e le politiche discriminatorie sulla casa dei due comuni non promettono nulla di buono…
Di seguito gli articoli dell’arena di questi giorni…
martedì 11 marzo 2008
SAN GIOVANNI LUPATOTO. Residente in paese, è stata «sfrattata» per il legale. Semplice sgombero di oggetti per il Comune, che afferma: «La stanza era già vuota»
Perde la casa e protesta a Verona
Joy Uzebu è nigeriana, ha 38 anni, da dieci anni vive e lavora in Italia, più precisamente a San Giovanni Lupatoto. Ha tre figli di sei, quattro e un anno mezzo. Ieri mattina dalla disperazione ha occupato la sala d’aspetto dei servizi sociali di Verona, in vicolo San Domenico. Poco prima i vigili di San Giovanni Lupatoto l’avevano mandata fuori, chiudendo definitivamente la porta anche di quell’abitazione provvisoria, dalla casa accoglienza Graziella, che si trova sempre in città, in vicoletto Corticella-Vetri, quartiere Veronetta. Da quel momento, e fino a sera inoltrata, l’assessorato ai servizi sociali scaligero con quello lupatotino si sono rimbalzati il problema da un ufficio all’altro. Solo poco prima di cena una notizia confortante, anche se destinata semplicemente a rimandare il problema: per la notte c’è una stanza alla Caritas, in via dell’Artigianato. Potranno starci mamma, papà e bambini. Con il nuovo giorno il palleggio ricomincerà.
Ma ora un passo indietro, alla concitata giornata di ieri. Per Stefano Bertacco, assessore al sociale di Verona, il caso seppure umano non è di sua competenza. Così sottolinea anche il suo dirigente Stefano Molon. A intervenire a sostegno della famiglia è la Rete sociale per il diritto alla casa. Roberto Malesani, legale del coordinamento migranti e referente della nuova associazione che si occupa di emergenza abitativa, non usa mezzi termini: «È stato messo in atto un abuso senza alcun titolo giudiziario».
«Alla signora era stata inviata una lettera-invito, affinché provvedesse a trovare un’altra sistemazione per sé e i sui tre figli», spiega, «l’averla buttata sulla strada è un abuso d’ufficio e una violenza privata. Reati che intendo denunciare». La vicenda inzia sei mesi fa, quando Uzebu viene sfrattata dalle forze dell’ordine di San Giovanni dalla sua casa di via XXV Aprile. «Sono stata truffata da un connazionale che aveva affittato l’appartamento due volte», dice in lacrime, «a breve ci sarà la causa in tribunale per questo. Sono rimasta senza un soldo. Non posso nemmeno inviare in Nigeria il necessario per fare seppellire mia madre: da due settimane la sua salma è in una cella frigorifera».
Suo marito, Oyo Osayamen, è disperato: da sei mesi vive in auto e talvolta viene ospitato da amici. «Ho perso il lavoro. A rischio c’è il mio permesso di soggiorno. Cerco di sopravvivere lavorando in nero», dice in perfetto italiano. La situazione appare drammatica. Fuori, nel cortile di accesso agli uffici, stazionano due pattuglie della polizia e sei vigili del Comune di Verona. Uzebu non si capacita di quanto le sta capitando. Non capisce il perché, visto che i suoi figli frequentano le scuole della città, nessuno voglia darle una mano. «Sono nati tutti e tre qui a Verona», racconta, «abbiamo aspettato per averli. Cercavamo un futuro migliore da offrirgli». Parole le sue che sembrano cadere nel vuoto.
Gli impiegati del centro sociale attraversano la sala d’attesa e come se niente fosse timbrano il cartellino d’uscita. Già perché Uzebu e i suoi tre bambini sono rimasti seduti lì dalle 10 del mattino. E alle 18 nessuno ha ancora accolto il loro grido d’aiuto. Malesani cerca di farsi intermediario. Arriva anche il consigliere comunale Graziano Perini. Si cerca l’aiuto del prefetto Italia Fortunati, che sollecita attraverso la Questura una rapida soluzione.
«Sì, sono stato contatto dalla Questura», dice Giorgio Facci, assessore per le politiche sociali di San Giovanni, che offre un’altra visione dei fatti. «Ho risposto chiaro che la signora può tornare dove era stata fino a questa mattina, (ndr, ieri per chi legge). Non utilizzava più la struttura del centro aiuto vita dall’8 di febbraio».
mercoledì 12 marzo 2008
SAN GIOVANNI LUPATOTO. L’assessore risponde alle accuse: «Nessuno sgombero forzato»
Famiglia senza casa. Due vie d’uscita
La vicenda di Joy Uzebu (che lunedì ha occupato con i suoi tre figli la sede dei servizi sociali di Verona, dopo che era stato liberato il locale a lei assegnato nel centro di accoglienza Casa Graziella, che non occupava più da oltre un mese) ha assorbito anche ieri Giorgio Facci, assessore ai servizi sociali e alla famiglia di San Giovanni Lupatoto, che per tutto il giorno ha cercato contatti con il legale della donna.
Riesaminata la situazione, la posizione del Comune però non si flette di un grado. Le soluzioni individuate dall’assessore Facci sono due: o la signora accetta di dare in affido i suoi tre figli oppure il Comune è disposto a pagare il suo viaggio di rientro in Nigeria.
«Non c’è stato alcuno sgombero forzato delle stanze assegnate alla signora Uzebu proprio perché la signora era domiciliata altrove già dal 6 febbraio e quindi da oltre un mese», precisa l’assessore Facci.
«Voglio sottolineare che noi non abbiamo gettato sulla strada nessuno, contrariamente a quanto si vuole fare credere».
«Per le situazione che si è comunque venuta a creare noi abbiamo individuato soltanto due possibili vie d’uscita», aggiunge Facci. «La prima è quella che già avevamo proposto alla signora, vale a dire l’affido dei suoi figli. La seconda è che la signora e la sua famiglia rientrino in Africa con viaggio a spese dell’amministrazione comunale». Una doppia alternativa che vede il comune sulle posizioni preannunciate.
Ieri l’assessore Facci aveva ricordato che i servizi sociali lupatotini stanno assistendo la famiglia dal 2006 con vari interventi e forme di assistenza.
«Le nostre assistenti sociali hanno tentato in tutti i modi di trovare una soluzione percorribile alla vicenda ma ogni proposta è stata rigettata», ha sottolineato l’assessore ricordando anche i trascorsi della famiglia con i servizi sociali di Verona.
Secondo quanto ha spiegato Facci dall’estate dello scorso anno era in atto un progetto di reinserimento attivato con il centro aiuto vita di Casa Graziella. Un progetto che prevedeva precisi impegni anche da parte della madre e doveva concludersi a fine 2007.
«Ogni tappa pattuita non è stata però rispettata dalla signora, nonostante i nostri solleciti e le ripetute segnalazioni», ha precisato Facci ricordando che il vero scopo della signora Uzebu è quello di ottenere una casa dal comune.
Il comune lupatotino aveva sottoposto alla signora anche la possibilità di assegnarle una casa a Roverchiara dichiarando la sua disponibilità a sostenere la spesa per una parte del canone di affitto.
«Anche questa offerta è stata rifiutata», dichiara l’assessore lupatotino. Dopo l’assegnazione della stanza nella Casa Graziella e il suo abbandono da parte della signora Uzebu, il 6 febbraio il Comune ha deciso di liberare la stanza e da qui sono nati i fatti di lunedì.
Facci aveva definito il tutto una «palese strumentalizzazione» affermando che dopo i notevoli sforzi dei servizi sociali per risolvere la questione, gli stessi non potevano fare la figura di chi ignora i casi umani e getta sulla strada le persone che vi sono coinvolte. Di qui la decisione dell’aut-aut.
mercoledì 12 marzo 2008
LA REPLICA. L’assessore Bertacco: «Basta con questa strumentalizzazione dei minori»
«Un caso che non ci compete»
«Ogni comune deve prendersi le proprie responsabilità. E’ inammissibile che nei nostri servizi confluiscano casi che non ci competono». Lo dice Stefano Bertacco, assessore ai servizi sociali del Comune di Verona. Lo sfogo arriva all’indomani dello sfratto dalla casa Graziella, del centro aiuto vita di Veronetta, della signora Joy Uzebu e dei suoi tre figli. A «metterci una toppa», come dice, è stato proprio Bertacco che ha trovato una sistemazione in un’altra casa di proprietà della Caritas in viale dell’Artigianato a Verona.
Non entra nel merito del perché la signora da 20 giorni non si fosse più presentata nella struttura che le era stata offerta. Si limita dire che «se si intraprendono percorsi di integrazione o protezione, vanno rispettati. Ho agito perché mosso da un senso di rispetto verso quei tre bambini. Non meritavano di vivere una situazione del genere», ammette.
E subito dopo aggiunge: «Basta con questa strumentalizzazione dei minori. E’ ora di finirla». L’assessore è arrabbiato e non lo nasconde. «I miei collaboratori si sono sempre dimostrati figure altamente professionali. Che cosa avrebbero dovuto fare in una situazione del genere, forse farsi carico di un caso che non gli competeva a discapito dei tanti che seguiamo quotidianamente? Dovremmo forse aspettarci ora che tutte quelle donne che dai comuni vicini finiscono nelle strutture di volontariato della città vengano a protestare da noi?». E si chiede anche «come mai la donna non è andata a occupare una delle stanze del comune lupatotino?».
L’accusa è all’avvocato Roberto Malesani, legale del coordinamento migranti e della rete sociale per il diritto alla casa:La situazione è a dir poco paradossale», sottolinea, «è come se un inquilino di un condominio di punto in bianco andasse a occupare l’appartamento del vicino. Ma qualcuno si renderà pur conto che noi non possiamo rimediare alle lacune o ai contenziosi di altri. Ci sentiamo vittime. Sì, proprio così, il Comune di Verona si sente vittima di una situazione che non ha voluto. Oggi possiamo parlare di una vera e propria intrusione per un fatto che non è nato sul nostro territorio».