Verona. Bloccato sfratto per morosità. Contro la crisi

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Il giornale scrive: aumentano gli sfratti per morosità del 25% in città.
È la crisi, bellezza.
Già, è la crisi. Famiglie che perdono il lavoro, non riescono a trovarne un altro e cominciano ad accumulare affitti non pagati. Automatica arriva la richiesta di sfratto.
Già, è la crisi.
Però questa crisi, causata da coloro che in maniera spregiudicata hanno giocato, facendo superprofitti, con la finanza, lascia intatte le ricchezze e si accanisce contro chi da sempre riesce a malapena a soddisfare bisogni essenziali come la casa.
Sempre sul giornale leggi di 6000 case sfitte. Come prima cosa ti viene automatico pensare che siano molte di più. Poi pensi: aumentano gli sfratti per morosità e i proprietari preferiscono tenere le case vuote piuttosto che proporre canoni d’affitto da tempo di crisi? C’è un cortocircuito. C’è veramente qualcosa che non va.
Già, c’è la crisi.
E chi nella giunta del sindaco Tosi si dovrebbe occupare di questi problemi?
Il Comune esce sul giornale (L’Arena – 15 giugno 2010) con una dichiarazione sulla nascita della Fondazione Scaligera per la locazione. Ad illustrare il nuovo (?) strumento del Comune, in pompa magna, sono l’assessore alle politiche per la casa, Pierluigi Paloschi, l’assessore ai servizi sociali, Stefano Bertacco, il presidente della Fondazione, Albertina Bighelli, il vicepresidente, Alfredo Spagna e un consigliere di amministrazione, Ivan Zerbato (quest’ultimo è anche consigliere comunale del Pd).
Cosa dovrebbe fare la Fondazione? Dovrebbe fare da garante nella trattativa tra inquilini e proprietari. In particolare, si proporrebbe di fare in modo che le persone in disagio abitativo (persone separate, anziani, giovani) possano godere di canoni moderati e contemporaneamente assicurare i proprietari da morosità e danni, garantendogli, inoltre, una riduzione dell’Ici allo 0,5 per mille.
Uno legge e dice: bello, finalmente il Comune interviene in questa situazione drammatica che dura da troppo tempo.
A meno che…
A meno che non sia solo un’altra occasione sprecata, utile solo a mostrare un volto solidale all’opinione pubblica.
Basta fare una piccola ricerca, infatti, per scoprire che questa fondazione non è nata il 15 giugno 2010, ma quasi 3 anni fa, nel dicembre del 2008. Fino ad oggi quanti alloggi a canone moderato sono stati assegnati? Non si sa.

Veniamo ad oggi.
Mohammed E. e la sua famiglia, moglie e bambino di 10 mesi, purtroppo rientrano nella statistica di cui sopra.
Ma Mohammed, come tutti gli altri, non è un dato statistico. È una persona con la sua storia.
Ha perso il lavoro circa un anno fa. Nei suoi 13 anni di vita a Verona ha fatto tanti lavori, ma quando l’ultima cooperativa si è dissolta non è più riuscito a trovare nient’altro.
La moglie fa l’impiegata part-time, con uno stipendio di 5-600 euro al mese. Con un affitto di 500 è chiaro che la scelta è tra mangiare o pagare l’affitto.
A queste difficoltà si aggiunge un problema di salute del piccolo Soulaimane. Un intervento chirurgico e una nuova operazione a cui dovrà essere sottoposto tra 2-3 mesi.
Arriva lo sfratto. Al primo accesso proroga di 3 mesi.
Al secondo accesso, oggi (24 giugno 2010), sono presenti anche gli attivisti della Rete Sociale per il diritto alla casa e l’ufficiale giudiziario si dimostra subito disponibile a trattare.
Anche questo secondo accesso, alla fine, si conclude con una proroga. Ma il problema rimane.
Ora la Rete per la casa non starà ad aspettare la data del 3° accesso. Riprende la campagna politica per la moratoria degli sfratti, ma anche per mettere alle strette il comune e la sua presunta creatura anti-crisi, la Fondazione, per verificarne l’efficienza e, eventualmente, per denunciarne la passività.

Aggiungiamo un’ultima cosa, non meno importante.
Se a perdere il lavoro e poi la casa è un migrante, il problema diventa ancora più drammatico. E non parliamo solo delle difficoltà legate a comportamenti razzisti delle agenzie immobiliari o cose simili. Ma del fatto che una situazione di questo tipo innesca un circolo vizioso. Niente lavoro, niente permesso di soggiorno, clandestino, niente lavoro.
Se diventi clandestino, hai nell’Italia di questi tempi, un destino segnato. Prima o poi finisci in un CIE. Magari in quello che si vule costruire a Verona città o provincia.
Cos’è un Centro di Identificazione ed Espulsione? Provate da soli a rispondere a queste semplici domande.
Come si può chiamare una struttura in cui vengono rinchiusi migranti per non aver commesso nessun reato se non quello, da poco introdotto nella legislazione italiana perché, come tale, non è mai esistito, di immigrazione clandestina? Come si può chiamare un luogo in cui le persone vengono ammassate e in alcuni casi per evitare rivolte o fughe sopite con tranquillanti, in altri picchiate dalle guardie?
Anche su questo, ribadiamo che faremo tutto ciò che possiamo perché nei nostri territori non venga aperta questa vergogna.

Rete Sociale per il diritto alla casa
Numero antisfratto: 3881737372