Verona – Picchetti irrapresentabili. La polizia sgombera i blocchi de* lavorat* Rm-Finservice

Di Sandro Chignola

C’è qualcosa che resiste nel circuito
infernale delle catene dei subappalti. L’illusione che il lavoro si
faccia invisibile, residuale, che esso in qualche modo si anonimizzi
ed evapori, è l’altro lato del mantra che lo definisce politicamente
irrappresentabile, insignificante, perduto.

Capita allora, come accade in questi
giorni a Verona, che un centinaio di lavoratori precari, finti soci
della finta cooperazione, migranti di seconda generazione ed
italiani, che lavorano in subappalto per il finissaggio dei libri
della Mondadori, possa non prendere lo stipendio da mesi; che
l’inizio della loro mobilitazione per il salario debba costituirsi in
presa di parola dal basso, senza delega a nessuno, che
l’interlocutore possa cedere e pagare buona parte degli arretrati con
assegni scoperti mentre di nascosto mette in liquidazione la
cooperativa per mezzo della quale, con altre, a rotazione, gestisce
gli appalti di ditte importanti.

Può anche capitare che costui,
finalmente inchiodato al proprio ruolo, lo si scopra essere uno dei
candidati alla nuova giunta di presidenza di Confindustria a Verona.
Che i picchetti che bloccano i magazzini e l’irruzione alla festa di
inaugurazione di Confindustria da parte delle giovanissime
lavoratrici in lotta non bastino a stanare il vero interlocutore di
tutta questa vicenda: un capitalismo straccione, miserabile, fatto di
pura rendita. Che agita lo spettro della crisi per trattare con i
sindacati confederali, disposti a far caricare dalla polizia i
picchetti dei lavoratori, piccole rendite di posizione e miserabili
affari da giocatori di tre carte.

Capita tutto questo a Verona, nel giro
di poche settimane. E ancora: un blocco dei cancelli della Mondadori
(e non più del solo capannone della cooperativa che ne gestiva gli
appalti) di un’intera giornata. Il blocco del traffico in uno degli
incroci strategicamente più rilevanti della città. Un blocco duro.
Inattraversabile. Del quale i protagonisti sono giovani donne e
giovani migranti accanto a lavoratori più anziani e altrettanto
determinati. Un blocco ruvido. In cui la rabbia di chi la crisi non
la vuole pagare ammacca paraurti e cofani di spocchiosi veneti che
tentano di attraversare il picchetto. Il conflitto non si preoccupa
del consenso, oggi.

E ancora: una seconda giornata di
lotta. Ancora un centinaio di lavoratori e di lavoratrici di fronte
alla Mondadori. Il blocco della logistica e dei trasporti. Le cariche
della polizia. E il blocco che si ricompatta e riprende un paio di
ore dopo. Sinché un lavoratore non viene investito da un furgone
determinatissimo nello sfondare. E che pagherà il conto. Capita
infine che la RSU di Mondadori, contravvenendo agli ordini di
scuderia e al cinismo dei suoi capi, costringa i confederali a
firmare un documento di solidarietà con i lavoratori in lotta.

C’è qualcosa che resiste nel circuito
infernale delle catene dei subappalti. Il materialissimo lavoro vivo
di uomini e donne ipersfruttati, non pagati, non garantiti. Uomini e
donne che per pagarsi la benzina per arrivare ai blocchi devono
autotassarsi e non pagare l’affitto. Uomini e donne ai quali i
padroni negano ogni trattativa e che urlano loro in faccia "noi
la crisi non la paghiamo. Vogliamo i nostri soldi!" Resiste il
lavoro vivo. E resistono la gioia e la rabbia. La lotta. Il
protagonismo irriducibile di una presa di parola dal basso che i
diritti li costruisce mentre li pratica e che si dà le proprie
istituzioni come concrete forme di lotta. I lavoratori e le
lavoratrici in lotta di Verona solo nell’ADL hanno trovato una sponda
e un rilancio della propria mobilitazione. Sarà la costituzione di
un nuovo sindacalismo sociale metropolitano del lavoro e del non
lavoro il moltiplicatore di conflitto di cui c’è bisogno nel tempo
della crisi.

Vedi anche: Globalproject