Fonte: il Verona, 22/07/2008
Emergenza abitativa. Sugli sfratti l’amministrazione non ha rispettato l’accordo con Prefettura e Tribunale
Sette famiglie in cerca della casa – sede Agec occupata per 10 ore
È uno di quei casi in cui il cinismo
della burocrazia si mescola con l’ipocrisia della politica. Lo scenario
è il salone del palazzo che ospita la sede di Agec, in via Noris,
occupato per 10 ore, dalle 11 alle 21, da sei donne straniere (tre del
Marocco, due della Nigeria e una della Tunisia) con nove bambini al
seguito e da una coppia albanese-rumena. Sono i protagonisti di una
rappresentazione degna del miglior teatro dell’assurdo, dove le
comparse sono i volontari della “Rete sociale per il diritto alla casa”
e il coordinatore del Movimento migranti Khaled, il presidente di Agec
Giuseppe Venturini, il direttore generale Sandro Tartaglia e il
dirigente della Digos Luciano Iaccarino. Altri, come il prefetto Italia
Fortunati e gli assessori Pierluigi Paloschi (Politiche della casa) e
Stefano Bertacco (Servizi sociali) non c’erano ma venivano evocati. I
motivi dell’occupazione sono diversi: due famiglie hanno ricevuto
l’ingiunzione di sfratto e devono liberare le case mercoledì e giovedì.
Le altre da anni aspettano un’abitazione a canone convenzionato. Sono
tutte in regola: hanno il permesso di soggiorno, sono residenti a
Verona da oltre 10 anni, il padre di famiglia lavora regolarmente. E
sono integrati: l’esempio lo danno i bambini, che vanno a scuola e
parlano un italiano perfetto. Ogni famiglia è un caso a sè: al
nigeriano Aghimir è stata assegnata una casa a Poiano. «Ma non ha
ritirato le chiavi», si lamenta Venturini. Il motivo è lampante: l’Agec
gli ha chiesto un deposito cauzionale di un anno di affitto, circa 6
mila euro. E la cosa, dato che si tratta di abitazioni concesse a chi
ha un reddito molto basso, si spiega con una sola parola: assurdo. Hoti
Hamza, albanese di 48 anni, ha invece ricevuto l’esecuzione di sfratto
per il 24 luglio, dopodomani. Hoti ha tre costole rotte e una gamba
fratturata a causa di un brutto incidente stradale. Per questo è
disoccupato e per il momento lavora solo la moglie rumena. Del caso si
è interessata anche il prefetto Italia Fortunati che il 14 luglio ha
scritto all’assessore Bertacco e al presidente del Tribunale ricordando
«le intese assunte nel corso della riunione svoltasi il 18 marzo
scorso» a proposito dell’emergenza sfratti. Il presidente del Tribunale
risponde il 16 luglio scrivendo «che l’accordo relativo all’emergenza
sfratti, di cui si era discusso in occasione dell’incontro da Lei
ricordato, ove si auspicava un “rallentamento” delle procedure di
sfratto in casi particolari, non ha poi avuto alcun seguito». Alla
faccia della conclamata emergenza. E poi c’è il caso di Hassan che a
cusa di uno sfratto è stato costretto a dividersi dalla moglie e dalle
due bambine che da marzo sono ospitate in una casa d’accoglienza
gestita dalle suore. Per questo il Comune paga alla Diocesi 105 euro
per ogni bambina al giorno (la mamma non paga). Questo vuol dire che
l’amministrazione negli ultimi 4 mesi ha già sborsato 26 mila euro, e
senza risolvere il problema. «Avevamo chiesto all’assessore Bertacco un
aiuto per pagare i 3 mila euro che questa famiglia aveva di arretrati,
somma che avrebbe restituito nel tempo – spiega Giorgio della “Rete
sociale per il diritto alla casa” – ma Bertacco ha detto no e ad oggi
hanno già pagato 26 mila euro». Assurdo. Alla 18 per mediare arriva il
dirigente della Digos Iaccarino. E promette che l’indomani (oggi, ndr)
l’assessore Bertacco incontrerà le famiglie, singolarmente. Episodio
sintomatico: una mediazione politica svolta da un dirigente della
Digos. Alla fine le donne si convincono e vanno via. Dalle 9 saranno a
Palazzo Barbieri.
Fonte: L’Arena, 22/07/2008
EMERGENZA ABITATIVA. Un gruppo di donne
maghrebine, con i loro bambini, si è piazzato nel salone dell’ente per
avere un appartamento
Agec occupata dagli sfrattati
Qualcuno vive già da tempo in case di
accoglienza, qualche altro sta per venire sfrattato entro pochi giorni:
le loro storie sono diverse, ma tutte accomunate dalla paura di
ritrovarsi all’improvviso sulla strada, senza un tetto per sè e per i
propri bambini. E così, per chiedere ascolto, ieri mattina sei famiglie
di immigrati (tunisini, marocchini, albanesi) hanno occupato il piano
terra della sede centrale dell’Agec, in via Enrico Noris, angolo piazza
San Nicolò: un gesto provocatorio per ribadire con maggiore forza il
diritto alla casa. A compiere la pacifica occupazione sono state però
prevalmentemente le donne, coi loro piccoli in braccio o per mano (gli
uomini di giorno sono al lavoro): insomma, una sorta di «occupazione
matriarcale», con queste giovani dagli occhi scuri decise a non
muoversi di un passo nemmeno quando il presidente dell’Agec Giuseppe
Venturini, affiancato dal direttore generale Sandro Tartaglia, ha
rinviato l’incontro con le singole famiglie a lunedì prossimo,
promettendo che almeno le quattro che hanno i requisiti in regola
vedranno una soluzione del loro caso. Ma loro non se ne sono andate,
irremovibili nella decisione di avere una risposta concreta, con i
bambini che improvvisavano un gioco di aquiloni di carta fatti con i
volantini Agec, preoccupate solo di trovare qualche panino e dell’acqua
per sè e soprattutto per i più piccoli, mentre alle 11.30 si chiudeva
la porta di ingresso al pubblico e gli occupanti restavano a loro volta
«prigionieri» del palazzo dell’Agec. Ad accompagnare il gruppo degli
immigrati c’erano i volontari della Rete sociale per il diritto alla
casa, composta dal Coordinamento migranti e dal collettivo Metropolis,
tra cui il responsabile della Rete Ben Ammar Khaled. Tra gli altri, a
chiedere condizioni di vita accettabili, c’è anche Nadir, che ha solo
10 giorni, sta in braccio alla mamma Leila Zegihdi, tunisina, che di
figli ne ha altri tre: lei vive coi bambini alla casa accoglienza di
via Tunisi, anche Nadir è nato lì, ma tra qualche giorno rischiano di
ritrovarsi tutti e cinque sulla strada; il marito Mezri Sakama dorme
già in macchina. Ed è proprio Leila che, di fronte alle parole del
presidente dell’Agec Giuseppe Venturini che li rimanda a lunedì
prossimo, spiega così la decisione di non andarsene: «Qui si sta bene,
molto meglio di dove abitiamo, è grande, almeno abbiamo un tetto».
Insieme a lei, ci sono le famiglie di Said Rebass che da tre anni
alloggia al residence Manager, da dove sta per essere mandato via; Said
Sadif, con la moglie Saadia Bohrdune e tre figli, che saranno sfrattati
domani dalla casa di via Velino in cui vive, non per morosità ma per
fine locazione: «Abbiamo ormai raggiunto i 20 punti nella graduatoria
Agec e abbiamo maturato il diritto alla casa». E poi Hoti Hamza,
invalido per un incidente sul lavoro, che abita con la moglie a Poiano
e che sarà sfrattato dopodomani; Aghimien Whunmwhugho, a cui sarebbe
stata restituita la casa in affitto che abitava pagando 373 euro
mensili fino al 18 maggio 2007 con un nuovo affitto di 500 euro e con
la richiesta di un anticipo di 12 mensilità: seimila euro impossibili
per lui da trovare. «Di questa situazione autorità e Comune sono al
corrente da tempo, ma non hanno voluto trovare una soluzione», spiega
Giorgio Brasola, membro della Rete. «Prefetto, presidente del tribunale
e amministratori comunali si sono incontrati insieme all’avvocato
Roberto Malesani che aveva chiesto una sospensione degli sfratti:
presidente del tribunale e prefetto erano stati favorevoli a trovare
una soluzione che però spetta al Comune, ed è proprio il Comune che ha
dimostrato disinteresse, lasciando cadere la situazione. Anche oggi
avevamo invitato gli assessori Bertacco e Paloschi ma nessuno si è
fatto vedere. Sappiamo», prosegue, «che esiste una legge regionale in
cui all’articolo 21 si afferma che il cda dell’Agec può decidere di
assegnare una abitazione anche a chi non è in regola con i requisiti
richiesti: le persone che oggi sono qui vedono la loro storia
trascinarsi da anni senza alcun interessamento delle autorità, mentre a
Verona ci sono 10.000 alloggi sfitti». Il presidente Agec Giuseppe
Venturini aveva invitato inizialmente le sei famiglie a salire con lui
al secondo piano, escludendo però che fossero accompagnate dai
volontari della Rete o da chiunque altro. La situazione si è sbloccata
poco prima delle 21 grazie alla mediazione del dirigente della Digos
Iaccarino e alla disponibilità dell’assessore Bertacco che oggi
riceverà le famiglie.
«Solo chi ha diritto avrà l’alloggio, gli altri no»
«Un blitz organizzato contro di noi,
che non siamo stati avvertiti di questa situazione. Chi ha il diritto
ad una abitazione vedrà risolto il suo problema, lunedì prossimo sono
disponibile ad incontrare le famiglie, ma non tutte hanno i requisiti
necessari per avere un alloggio, due ad esempio non sono in regola in
quanto non hanno posizioni regolari con il lavoro e con la residenza».
Afferma così il presidente dell’Agec Giuseppe Venturini, quando alle
12.30 circa scende per la seconda volta al piano terra per incontrare
gli occupanti. Venturini si era già presentato poco dopo l’arrivo degli
immigrati e dei volontari, invitando solo le sei famiglie in questione,
senza i volontari della Rete e del Coordinamento, a salire con lui nel
suo ufficio per discutere. Ma nessuno di loro si era mosso, anche
perché la maggior parte delle famiglie non era al completo. «Da qualche
anno a Verona non si costruiscono più alloggi popolari», cerca ancora
di spiegare Venturini. «L’entità degli alloggi rispetto alla domanda è
minima, ci sono circa 800 casi di emergenza abitativa ogni anno, di cui
riusciamo ad evadere solo il 10 per cento. Speriamo in un finanziamento
della Regione Veneto necessario per la costruzione di nuovi alloggi.
Per fortuna una quarantina di alloggi alla Sacra Famiglia entro
quest’anno ci saranno concessi e questi serviranno per tamponare alcune
emergenze». Di fronte alle proteste dei rappresentanti del
coordinamento, Venturini si arrabbia, soprattutto quando parte qualche
accenno al carattere «politico» delle scelte dell’Agec: «Noi ci
atteniamo alle regole e alla prassi, tutto il resto non sono che
illazioni». Da oggi forse il Comune, con l’assessore Bertacco, darà
udienza a ciascuna famiglia, una per volta, per esaminare le singole
situazioni e verificare se esistono regolari domande all’Agec.
Fonte: DNews, 22/07/2008
Senza casa. Undici ore di tensione ieri nella sede di via Noris, deve intervenire anche la Digos
Sfratti con presidio e lite all’Agec
«Presidente, giovedì vengo a dormire a
casa sua», grida l’albanese Hoti Hamza, agitando una stampella, quando
Giuseppe Venturini, presidente dell’Agec, scende le scale dal suo
ufficio e sbuca nell’atrio. Botta e risposta durissimi, con qualcuno
che gli urla in faccia la rabbia e lui che avverte: «Vi faccio mandare
via». La rabbia è quella di sei famiglie di immigrati, che ieri hanno
protestato con un presidio di undici ore nella sede dell’azienda di via
Noris contro gli sfratti imminenti che nel giro di pochi giorni
rischiano di lasciarli in strada. Due donne con bambini piccoli, una
coppia, più altri nuclei si sono piazzati lì dalla mattina, pranzando
con qualche panino portato da alcuni volontari della Rete sociale per
il diritto alla casa. E minacciando di non muoversi, se non dopo aver
ottenuto soluzioni. Sono arrivati i vigili e anche una volante della
polizia, mentre in Prefettura si teneva una riunione per decidere il da
farsi. Il braccio di ferro è andato avanti fino alle sette di sera,
quando Luciano Iaccarino, dirigente della Digos, ha riferito agli
autori del presidio dell’impegno assicurato dall’assessore ai servizi
sociali Stefano Bertacco a riceverli il giorno dopo in Comune. La
risposta: «Vogliamo un impegno scritto». Alle 21 la proposta
risolutiva: incontri a oltranza con Bertacco oggi e impegno del Comune
a interpellare il tribunale per rinviare gli sfratti imminenti ed
esaminare uno ad uno i casi. E i migranti sono andati a casa.
Venturini, invece, aveva promesso di ricevere le famiglie lunedì. Ma
per alcuni di loro sarà già scattata l’ora X. Il primo sfratto
scoccherà domani e toccherà a Leila Zegihdi, tunisina di 27 anni, madre
di quattro bambini ora alloggiata in una casa di accoglienza in via
Tunisi. Gli altri a seguire. Khaled Ben Hammar, del coordinamento
migranti, spiega che la protesta orchestrata con la Rete sociale e il
collettivo Metropolis è contro la non volontà di dare risposta a tanti
casi disperati e che nei confronti degli immigrati persiste una linea
discriminatoria: «Ci sono famiglie in graduatoria con tutti i requisiti
che si vedono negata la casa. Ci sono i servizi sociali che stanno
cercando di buttare fuori una donna con figli. C’è un nigeriano che si
è visto aumentare il canone. Noi chiediamo che Comune e Prefettura
intervengano per bloccare gli sfratti e che chi è in emergenza abbia
diritto alla concessione di una casa». Leila Zegihdi figura tra questi
casi. Ha un piccino di dieci giorni in braccio e altriche saltellano
attorno di quattro, otto e nove anni. Da dieci anni è in Italia, suo
marito da venti. «Lui lavora, ma siamo senza casa – dice -. Pagavamo,
ma ci hanno dato lo sfratto. Io sono in un alloggio di accoglienza, lui
dorme in auto o da amici. E anch’io ora devo andare via». Vicino a lei
c’è Saadia Bahroune, 36 anni, figli di uno, tre e sei. Dieci anni a
Verona, marito che lavora, sfratto dalla casa in via Romagna da 500
euro al mese. «All’Agec sono messa male in graduatoria. Case sul
mercato non le troviamo: a noi immigrati non le affittano». Hoti Hamza,
albanese, è sposato con la rumena Elisabeta e giovedì dovrà lasciare la
sua casa di Poiano. Ha avuto un incidente in auto e un’operazione al
cuore, non lavora. Lei fa le pulizie, ma il reddito non basta per
ottenere una casa. «Dove andremo? In strada». E poi c’è il nigeriano
Aghimien Uhunmwhngho, casa Agec in via Caccia, che si è visto alzare il
canone da 373 a 492 euro, più la richiesta di 5.906 euro anticipati per
12 mensilità. «Non è mai venuto a ritirare la chiave – accusa il
presidente Venturini -, poteva fare una polizza fidejussoria».
Controreplica Ben Hammar: «A chi ha il reddito basso le banche non le
fanno».
Rete sociale chiede di fermare tutto e requisire le case libere sul mercato
Attivata anche una linea telefonica per gli aiuti.
Bloccare tutti gli sfratti e requisire
le case libere sul mercato, sfitte o in abbandono, sul presupposto
della gravissima emergenza abitativa. Sono le proposte della Rete
sociale per il diritto alla casa, che ha attivato anche una “help –
line”, un linea telefonica di aiuto per chi rischia di trovarsi in
strada, al numero 388-1737372. Gli esponenti dell’associazione chiedono
di rendere operativi i progetti comunali sulla casa, con
l’obbligatorietà della cessione da parte dei proprietari, e di bloccare
le vendite del patrimonio immobiliare pubblico sia Agec che Ater. Tra
le altre soluzioni individuate anche la trasformazione delle caserme
dismesse e sottoutilizzate in alloggi popolari e l’avvio di progetti di
auto recupero delle abitazioni sfitte, affidate a cooperative di
precari e migranti, finanziate con fondi pubblici e privati.