Fonte: il manifesto – 18/06/2009
Non accennano a diminuire le tensioni davanti ai cancelli della
Mondadori. La giornata di martedì è stata frenetica e convulsa. E si è
conclusa nel peggiore dei modi: con i lavoratori caricati dalla polizia
mentre chiedono di essere pagati e chiarimenti per il loro futuro. Sono
i lavoratori della cooperativa Rm Service, che ha lavorato in
subappalto alla Mondadori. Chiedono che sia proprio il colosso
editoriale a farsi carico delle quattro mensilità non pagate. I
lavoratori, una settantina, hanno formato i picchetti davanti ai
cancelli bloccando i camion. Ma la polizia è intervenuta, prima
caricando i manifestanti e quindi rimuovendo i blocchi. Gli agenti
hanno poi provveduto a identificare i dipendenti, quasi tutte donne, e
hanno anche fermato un membro del sindacato Adl, al quale la maggior
parte dei lavoratori sono iscritti. Nuove tensioni quando dopo aver
ripristinato dei blocchi più piccoli e temporanei davanti allo
stabilimento Mondadori, martedì pomeriggio, un lavoratore è stato
investito da un furgoncino che avrebbe forzato il picchetto. L’autista,
secondo le prime ricostruzioni, avrebbe minacciato i lavoratori di
«tirarli sotto», avrebbe quindi dato gas colpendo uno dei manifestanti.
La
protesta si protrae da mesi ormai. Tutto nasce con la richiesta di
fallimento portata avanti dalla Finservice spa di Villafontana che
gestiva il reparto logistico della Mondadori Printing e che a sua volta
subappaltava a cooperative. Con l’uscita di scena della Finservice spa
è entrata un’altra azienda, l’Hdl, che grazie a un accordo con i
sindacati confederali di Cgil, Cisl e Uil, aveva inglobato alcuni
lavoratori. Promesse erano state fatte anche ai rappresentanti
dell’Adl-Rdb, dicono i sindacalisti, ma tali sono rimaste. Una speranza
è arrivata con l’entrata in scena di una nuova azienda, Archimeda, che
si occupa di prodotti editoriali e che con Adl-Rdb aveva avviato un
accordo che, a detta del sindacalista Khaled Benammar, «lasciava
presupporre ottimi risultati. Ma così non è stato, Pozzoni si è tirato
indietro all’ultimo momento», spiega, «abbiamo chiesto l’intervento
della Prefettura e avviato un tavolo di confronto, ma non siamo
arrivati da nessuna parte. Da qui la decisione di bloccare le entrate
dello stabilimento». Il risultato di questo ennesimo esempio dei
disastri dei subappalti è che da dicembre 2008 i lavoratori non
percepiscono lo stipendio, la cooperativa Rm è stata chiusa ancora
prima che loro potessero far valere i loro diritti.
Ieri mattina i
lavoratori sono andata davanti a una banca di Verona. «Abbiamo saputo –
dice Francesca, da un anno in cooperativa – che l’amministratore
delegato aveva versato degli assegni postdatati teoricamente per i
nostri stipendi. Ci pare di capire che gli assegni siano scoperti, e
comunque abbiamo anche scoperto che l’amministratore delegato si trova
agli arresti domiciliari». È difficile districarsi nei meandri dei
subappalti. Ma per i lavoratori, per chi ci finisce dentro a queste
intricate e complesse caverne, le cose tutto sommato sono chiare.
«Siamo considerati lavoratori di serie b – dice senza mezzi termini
Francesca – anche dai sindacati confederali. Ma la realtà è che siamo
lavoratori come gli altri. Io per esempio sono a un passo dalla laurea.
Lavoro in cooperativa perché la congiuntura è tale che non si trova
altro, nemmeno nel ricco nordest». Francesca come tante colleghe
straniere ha già «cambiato tre cooperative in un anno. Lo sai come
funziona, no? – dice – ci sono questi cambi continui di cooperativa per
evitare di farti avere scatti di anzianità. Ho anche scoperto –
aggiunge – che non mi hanno neppure pagato tutti i contributi Inps». E
questo è accaduto anche a uno dei lavoratori «anziani» della
cooperativa. Sarebbe dovuto andare in pensione e invece niente perché
non tutti i contributi sono stati pagati.
La maggior parte dei
lavoratori sono donne e migranti. Martedì ci sono state scene di
disperazione, con una donna portata via in ambulanza per un malore.
«Del resto – dice un’altra lavoratrice – qui abbiamo tutti famiglia,
mutui o affitti da pagare. Perdere il lavoro è un lusso che non
possiamo prenderci. E poi – aggiunge – in questo modo, senza il minimo
rispetto». Per questo, anche per rivendicare la loro dignità di
persone, i lavoratori hanno deciso di alzare il tono della protesta.
«Abbiamo cominciato mesi fa con i picchetti davanti alla sede di
Finservice – dice Francesca – ma non è bastato. Siamo passati ai
cancelli di Mondadori e abbiamo visto cosa è successo». Un gazebo
improvvisato, acqua per vincere il caldo, un megafono. «Vogliamo i
nostri soldi», gridavano i lavoratori davanti ai cancelli. Dietro a
quei cancelli i lavoratori che hanno ancora il lavoro. Ma che martedì
hanno comunque voluto esprimere la loro solidarietà ai dipendenti in
lotta. Perché in fondo, nemmeno loro possono dormire sonni tanto
tranquilli. «Siamo alla frutta – dice Francesca – che vuol dire per
esempio essere costretti ad andare a mangiare alla Caritas. Come si fa
a vivere senza stipendio per sei mesi e senza nemmeno il diritto di
avere l’indennità di disoccupazione?». «C’è qualcosa che resiste nel
circuito infernale delle catene dei subappalti – è il commento di
Sandro Chignola, docente all’università di Padova – L’illusione che il
lavoro si faccia invisibile, residuale, che esso in qualche modo si
anonimizzi ed evapori, è l’altro lato del mantra che lo definisce
politicamente irrappresentabile, insignificante, perduto».