Fonte: L’Arena – 02/03/2010
«Paghiamo le tasse ma ci considerano di serie B»
«Una giornata senza di noi», il primo sciopero dei migranti italiani e di buona parte d’Europa, è iniziato a Verona con un presidio in piazza Santa Toscana alle 11. Nulla a che vedere con i 20 mila in piazza a Napoli o con gli stranieri che davano lezioni di clandestinità davanti a Montecitorio, a Roma. Qui in 150 hanno raccontato il loro dramma di immigrati, e i loro racconti di vita erano un chiaro sfogo rivolto alla ricerca di confronto e di un po’ di umanità.
Il presidio di porta Vescovo voluto da Cittadinanza Globale, Adl Cobas, Rete sociale per il diritto alla casa e da tutti gli impiegati nelle cooperative Genius Dhl di Veronella, Coop Concordia con Mtn San Bonifacio, Coop Halding, Group Tnt Ver e Coop Europromos, e dalle associazioni Algerini Verona Anwar, Marocchina Atlas, Consulta immigrati, infine dai collettivi Studentesco e Metropolis, ha portato in piazza anche tante donne e bambini. «Ho fatto perdere un giorno di scuola a mio figlio perché trovo che anche manifestare per i propri diritti sia un modo per insegnare e formare gli adulti di domani», dice una giovane madre con in capo il chador e vestita all’occidentale. Su un palco dove è stato appeso un manifesto con scritto «Rete per la casa, un diritto per tutti», sale un ragazzino di 11 anni. Si chiama Taha, il suo nome in arabo significa prediletto.
Racconta che è nato alla maternità di Borgo Trento e non è considerato cittadino italiano. Eppure i suoi compagni di scuola lo trattano alla pari. «Io non sento nessuna differenza tra me e i miei compagni. Non trovo giusto che ci sia qualcosa o qualcuno che mi faccia sentire di meno o come un qualcosa che non merita di rimanere in questa città. Io non sono una cosa ma una persona». Il suo intervento è seguito da un lungo applauso. Poi ha parlato Paul, uno studente delle superiori. «Sono nato qui ma nella mia carta di identità c’è scritto cittadinanza nigeriana», afferma. In piazza ci sono i rappresentanti dei lavoratori impiegati in note aziende cittadine. Fra loro Roberto Malesani, legale di Adl Cobas e Rete sociale per il diritto alla casa, nonché di Cittadinanza Globale.
Kaled Ben Ammar, del direttivo di Cittadinanza Globale e sindacalista, parla di «leggi razziali» introdotte nel Paese negli ultimi anni, e dei ritardi nella consegna dei permessi di soggiorno. «Sembra impossibile che nessuno capisca il dramma di chi lavora e non è nemmeno tutelato. Di chi vive in questa città pagando le tasse e non è considerato cittadino», grida dal microfono ricordando a i presenti che il lavoro degli immigrati garantisce il 10% del Pil. In piazza Santa Toscana le donne offrono la loro testimonianza. Toccante quella di Rabih Souad: «Avevo una famiglia fino a un anno fa, quattro figli e un marito. Lavorava in nero, è stato trovato senza permesso di soggiorno e rimpatriato. È morto in Algeria. Ora cerco un lavoro, ho portato i miei figli a scuola dalle suore e l’assistente sociale invece di aiutarmi mi ha denunciata».