Fonte: Corriere di Verona – 25/08/2009
Verona – Il rischio è quello di fare i conti senza l’oste. E che
quel «subito» pronunciato dal sindaco Tosi in merito alla realizzazione
di un Cie – il centro d’identificazione ed espulsione per i
clandestini – nel Veronese altro non diventi che un imperativo da
lasciare a futura memoria. Già, perché qui – a quanto pare – ci sono
almeno due variabili che quel «subito» rischiano di vanificarlo. La
prima è assolutamente «temporale». Perché quel «subito» stride
alquanto, visto che è trascorso più di un anno (era il luglio del 2008)
da quando, sempre in uno di quegli incontri con il suo mentore
ministro degli Interni, Tosi proferì le parole «Se ti serve noi a
Verona ci siamo. Il centro lo potremo fare lì». Trascorse qualche mese
e a febbraio il caudillo Flavio si mise a fare di logistica, indicando
i siti. Prima Villafranca, poi Bovolone. Il silenzio, guarda caso,
cadde come un velo di piombo giusto nel periodo delle elezioni. Con le
veline romane che dicevano come i giochi all’epoca fossero già stati
fatti e il foglio con il fatidico nome del Comune «ospitante» fosse
tenuto nel cassetto di Maroni in attesa dello spoglio. Tempi e luoghi
che con il «subito» pronunciato da Tosi hanno poco a che fare. Ma
l’avverbio non casca a fagiolo anche per un altro elemento. Non
esattamente trascurabile.
E se alla costruzione del Cie a
Bovolone a quanto pare manca solo il crisma dell’ufficialità, la stessa
è assicurata sul fronte opposto. Quello della contestazione. «Quella
di Tosi – dice Max Gallob portavoce dei centri sociali del Nord Est –
potrebbe sembrare una boutade agostiana tipica del suo partito, se non
fosse che si dovrebbe vergognare solo a pensare all’eventualità di
costruire un centro del genere, mentre c’è gente che muore tentando di
arrivare qui per avere una vita migliore tra il silenzio assordante
di questo governo e le lacrime di coccodrillo del centrosinistra che
questi centri li ha voluti». Poi il guanto di sfida. «Come centri
sociali del Nord Est diffidiamo Tosi dal continuare su questa strada,
facendo la propria campagna elettorale per le elezioni regionali
sulla pelle di gente che scappa dalla propria terra per fame. Il suo e
quello sui Cie è uno spettacolo indecente della politica». Dire che si
preannuncia un autunno caldo sul fronte del centro di identificazione
ed espulsione non è cosa da grandi veggenti. Anche perché sulla
barricata del «no» si schiera tutta l’area antagonista. «L’unico ad
essere sicuro che qui si farà un Cie è Tosi», taglia corto Roberto
Malesani di Cittadinanza Globale e legale di Adl, l’associazione
sindacale di difesa dei lavoratori. «Noi ci batteremo con tutte le
nostre forze perchè non venga costruito. Quel centro dimostra come il
razzismo si stia istituzionalizzando sia a livello amministrativo che
normativo. Da mesi nei centri già esistenti sono in atto rivolte da
parte degli stessi stranieri reclusi. Non capisco come Tosi possa
dimostrare tutta questa sicurezza. Si deve aspettare la massima
contrapposizione possibile. Si confronterà come le lotte che partono
dal basso, quelle degli stessi immigrati, che avranno tutto il nostro
sostegno per qualsiasi forma di lotta e anche quello delle associazioni
antirazziste». Insomma, il Cie non ha ancora il crisma dell’ufficialità
ma ha già ricevuto il battesimo della contestazione. Quella che non
accetta transigenze di nessun tipo. E che si muove anche sul fronte
politico.
«Piuttosto che costruire un Cie si spendano i soldi per
realizzare nuovi alloggi e andare incontro alla crisi delle famiglie
e del reddito», dice il collettivo Metropolis che proprio stamattina
sarà impegnato a Bovolone contro uno sfratto. «Noi quei centri li
riteniamo illegittimi. Posti dove la gente viene imprigionata per sei
mesi, quando non si capisce che quello della migrazione è un fenomeno
inarrestabile. Faremo di tutto per contrastare la costruzione del
centro, ma i primi ad opporsi dovranno essere i residenti. Porteremo
in quella zona gli abitanti di Lampedusa, quelli di Modena, quelli di
via Corelli a Milano. E gli faremo raccontare cosa vuol dire vivere
vicino a un Cie. Perchè quei centri sono un problema anche per le
comunità che li "ospitano". La Lega che si sporca la bocca con la
parola democrazia, che dice di fare il bene dei cittadini, indica un
referendum. E faccia scegliere a loro se vogliono un Cie o no». Che
quel centro non s’ha da fare è opinione anche del centro sociale La
Chimica e della rete cittadina antirazzista. «È un provvedimento
grave, che porterà a reazioni come quelle che si sono viste a Vicenza
per la base americana. Ci sarà la mobilitazione e le realtà
antirazziste non si gireranno dall’altra parte, in un momento come
questo in cui le ronde sono usate come specchietto per le allodole,
facendo passare sotto silenzio quanto sta accadendo negli altri Cie,
con gente che non avendo commesso alcun reato se non quello di
immigrazione clandestina può essere trattenuta per 180 giorni».
Perché quel «subito» di Tosi potrebbe avere il decorso dello stesso
avverbio usato per un’altra struttura. La base americana a Vicenza.
«Subito» doveva essere pronto anche il Dal Molin. Sono trascorsi oltre
tre anni, la base è ancora sulla carta, ma le contestazioni non si
fermano.
Fonte: L’Arena – 22/08/2009
Stranieri. Il segretario regionale del sindacato di polizia è contrario al centro di Bovolone
«Il cie creerà problemi difficili da gestire»
Filippi (siulp): «I recenti fatti di Modena siano da monito» Tra le incognite, il numero di agenti messi a disposizione
Cie sì, cie no, cie dove? Si torna a parlare dei Centri di permanenza temporanea (Cpt), ora denominati Centri di identificazione ed espulsione (cie),
strutture istituite per ospitare gli stranieri «sottoposti a
provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento
coattivo alla frontiera» nel caso in cui il provvedimento non sia
immediatamente eseguibile. Di centri c’è bisogno e il sindaco Flavio
Tosi s’era detto favorevole ad averne uno a Verona. Poi l’ipotesi del
Comune era svanita e sempre più insistentemente si parla di Bovolone
nell’area dell’aeronautica militare. A Bovolone il sindaco però
parrebbe non essere stato informato dell’ipotesi. A lanciare benzina
sul fuoco, ancora una volta, il segretario regionale del siulp, Silvano Filippi, che si chiede come mai non ci siano forti reazioni davanti a un’ipotesi del genere.
«Il cie
a Modena sta creando preoccupazioni fortissime», dice Filippi. Infatti
la settimana scorsa c’era stata una rivolta degli immigrati. Attori del
dramma sono stati una trentina di magrebini che, dopo lo sciopero della
fame, hanno accatastato e bruciato materassi.
«Sembra che qui si sia
convinti che la struttura non creerà problemi invece ci saranno eccome.
Una considerazione: se nel carcere di Montorio, che è un carcere ci
sono 500 agenti, come si fa a ipotizzare un cie
senza avere rassicurazione sull’invio di un consistente numero di
personale? Come faremo a tenere calme centinaia di persone che
arriveranno da tutta Italia, poiché è il ministero a decidere dove
smistare i clandestina a seconda delle disponibilità che risultano». E
ancora: «Una volta terminati i sei mesi le persone dovranno essere
rimpatriate, quindi pattuglie dovranno accompagnarli agli aeroporti.
Oppure potrebbero essere lasciati liberi e quindi decidere, magari, di
restare in città». Necessario considerare inoltre che parenti o amici
potrebbero decidere di stare vicino al congiunto e quindi dimorare a
Verona. La nostra città resta inoltre una piazza ricca di
manifestazioni, non è escluso che ci sia chi deciderà di scendere in
piazza fin dalla posa della «prima pietra» per impedire che il progetto
vada avanti. Certo è che in considerazione del grande affiatamento tra
il sindaco Tosi e il ministro Roberto Maroni, e del fatto che un cie
il Veneto lo deve fare è più probabile che venga realizzato nel
veronese che in una provincia a prevalenza di amministrazione del
centro sinistra.
Fonte: Corriere di Verona – 21/08/2009
Schinaia: «Cie a Verona inutile. Mancano i soldi per le espulsioni»
Il no del procuratore al centro. «E sui clandestini rischiamo dei processi fantasma»
Verona – «La realizzazione di un "Cie" a Verona? Del tutto inutile, visto che lascerebbe comunque irrisolto il problema-chiave dell’intera questione, quello cioè di eseguire materialmente le espulsioni dei clandestini. Non mi risulta, infatti, che la nuova legge sull’immigrazione, oltre a criminalizzare rendendo reato la permanenza degli irregolari in Italia, abbia indicato i modi e, soprattutto, le risorse economiche con cui far uscire i clandestini dal nostro Paese». E’ l’autorevole opinione del procuratore Mario Giulio Schinaia a irrompere nel dibattito che anche in terra scaligera, in questi giorni, tiene banco attorno alle neonate disposizioni in materia d’immigrazione e, soprattutto, di «Cie», quei «Centri di identificazione ed espulsione immigrati» dove questi ultimi, una volta beccati senza permesso di soggiorno dalle forze dell’ordine, dovrebbero rimanere in attesa prima del processo e poi (visto che la nuova legge non prevede, in caso di condanna, la reclusione ma «soltanto» l’ammenda e l’ordine di andarsene) dell’espulsione. Giovedì, il sindaco Flavio Tosi ha pubblicamente «invitato» Roma a stringere sui tempi: «Il Cie va realizzato al più presto in provincia di Verona, altrimenti nonostante le nuove norme e il lavoro delle forze dell’ordine resta irrisolto il problema di cosa succede dopo la denuncia a piede libero: perché chi viene fermato viene poi immediatamente rilasciato». Al vertice di fine luglio con Maroni, il primo cittadino aveva già posto il tema del Cie nel Veronese, chiedendo di «farlo subito». Tra le ipotesi più accreditate, Bovolone e il Villafranchese.
A riguardo, però, il parere del procuratore scaligero è tranciante: «Un Cie nella nostra provincia? Non ne servirebbe né uno, né dieci, né cento. Persino farne uno ogni metro quadro, per assurdo, non risolverebbe la madre di tutte le questioni concernenti la clandestinità, vale a dire la realizzazione concreta delle espulsioni che, al momento, non risulta possibile portare a termine in quanto mancano sia le risorse finanziare che le strategie logistiche». Mette subito in chiaro, Schinaia, che (così come, del resto, aveva dichiarato anche prima dell’estate), da parte della magistratura veronese «le nuove norme verranno applicate esattamente come previsto dal legislatore». Il lavoro che è tenuta a svolgere, quindi, la procura coordinata da Schinaia lo porterà regolarmente a termine come sempre: ciò non toglie, però, che le sue previsioni sugli effettivi risultati della nuova procedura appaiono tutt’altro che rosee. «Dall’entrata in vigore, lo scorso 8 agosto, delle nuove norme è giunta in procura una quindicina di denunce; da parte mia, ho inviato più di una circolare alle forze dell’ordine per risolvere alcuni dubbi interpretativi sulle disposizioni appena divenute operative e dopo la pausa estiva, a metà settembre, i giudici di pace inizieranno i processi. Resta il fatto, però, che – secondo Schinaia – i veri problemi rimarranno tali: gli imputati si presenteranno in aula? Gli ufficiali giudiziari, già ora gravemente carenti d’organico, come faranno a notificare gli atti ai clandestini? E dove glieli notificheranno?» L’espulsione, a parere del procuratore scaligero, dovrebbe anticipare e non seguire al processo. Già, farla subito: già, ma «con quali uomini? E, soprattutto, con che soldi?» E si torna sempre lì, alla «madre di tutti i problemi».
Fonte: Corriere di Verona – 20/08/2009
Vertice sul Cie, i sindaci del Veronese all’attacco: non decida solo Roma
Dopo il summit al ministero tra Maroni e Tosi. Da Bovolone a Villafranca, i comuni chiedono chiarimenti. Il presidente della Provincia: «Mi faccio loro portavoce»
Verona – Il sindaco Flavio Tosi lo ha ribadito con il pieno appoggio del ministro dell’Interno Roberto Maroni: «Ora bisogna stringere sui tempi. Il Centro di identificazione ed espulsione immigrati va realizzato al più presto in provincia di Verona».
Il leader del Carroccio vuole accellerare. Il decreto sicurezza con l’introduzione del nuovo reato di clandestinità per Tosi pone come priorità la questione per Verona. «Tre denunce al giorno, vigili e forze dell’ordine fanno un lavoro esemplare – ha detto Tosi al Corriere di Verona – ma resta irrisolto il problema di cosa succede dopo la denuncia a piede libero: perchè chi viene fermato viene poi immediatamente rilasciato».
Al vertice di fine luglio con Maroni a Roma Tosi ha quindi posto nuovamente il tema del Cie nel Veronese, chiedendo di realizzarlo subito. Tra le ipotesi più accreditate, Bovolone e il Villafranchese. Ipotesi che riaccendono le preoccupazioni dei sindaci che chiedono chiarimenti e vogliono essere interpellati. Scende in campo anche il presidente della Provincia Miozzi, che si fa portavoce dei comuni.
A Bovolone il Cie potrebbe sorgere nell’area dell’ex base missilistica, tra la Transpolesana e il paese. Al sindaco leghista Riccardo Fagnani il tema è noto vista la recente campagna elettorale e, così come qualche mese fa, prova ad affrontarlo in modo pragmatico. «Al Comune non risulta nulla – spiega – tanto meno abbiamo notizie di un decreto di dismissione dell’area militare che quindi rimane nelle disponibilità del Ministero della Difesa. Perciò anche nel caso in cui l’area prescelta fosse questa, i tempi non sembrano essere brevissimi». Qualche margine sembra quindi esserci e, se il principio dei Cie è «assolutamente valido», va tenuto conto, secondo il sindaco, anche dei requisiti tecnici che la struttura dovrà avere. «Credo che debba essere collegato con strade ed aeroporti – sottolinea Fagnani – ed è più logico che sia posto vicino ad una città di certe dimensioni se ad essa deve servire. Bovolone queste caratteristiche sembra non averle». E poi, inevitabilmente andrebbe interpellata anche la popolazione: «La gente è molto sensibile al tema – conferma il sindaco – una amministrazione comunale non ha grande possibilità di opporsi ad una decisione del genere, ma il sì o il no vanno sicuramente concordati con i cittadini». Il sindaco di Villafranca, Mario Faccioli, Pdl anima An, non boccia a priori l’ipotesi di un Cie. Ma critica il metodo fino ad oggi utilizzato per affrontare il tema. «Se ne parla ormai da un anno – attacca – e siamo ancora nelle condizioni di non sapere nulla di preciso. Siamo stufi di decisioni calate dall’alto perché se il Cie dovrà sorgere vicino a noi dovremmo pur poter dire qualcosa, no? Se si tratta di una struttura interprovinciale mi sembra giusto che il Ministro ci informi, che si convochi la Regione, i sindaci e le amministrazioni interessate. Invece siamo sempre messi nella condizione di non capire». Che la struttura ricada nel territorio di Villafranca o nell’area di competenza della vicina Sommacampagna non fa, poi, grande differenza per il sindaco Faccioli: «Quello che non condivido – ribadisce infatti – è questo modo di fare politica. Un’amministrazione è libera di decidere se accettare una struttura del genere nel proprio territorio, ma di certo non può decidere per gli altri altrimenti quel progetto lo deve condividere».
Chiosa diretta al sindaco Tosi, che il consigliere regionale del Pd Franco Bonfante ha esplicitato in una interrogazione al presidente della Regione Giancarlo Galan. «Mi pare assurdo – fa presente Bonfante – che sia il sindaco di Verona a decidere se e dove realizzare un Cie in provincia scavalcando quello che potrebbero essere competenze regionali. Per questo ho chiesto al presidente se ritiene giusto un simile modo di agire, tanto più che non mi pare esista una gerarchia tra sindaci».
La Provincia, dal canto suo, mette a disposizione le proprie capacità di coordinamento. Il presidente Giovanni Miozzi conferma di non essere stato informato dal Ministero dell’Interno dell’apertura di un Cie nel territorio scaligero, ma conferma la propria disponibilità ad affiancare le amministrazioni comunali: «Sono pronto – precisa Miozzi – ad attivarmi a fianco dei sindaco e farò di tutto perché la voce e il punto di vista di quel Comune vengano presi in considerazione a Roma».