Ha diciassette anni, ha gli anni di chi in queste settimane si è battuto contro il decreto Gelmini, ormai divenuto legge. Aveva, perché sabato 22 novembre Vito Scafidi è morto, morto di scuola, morto d’abbandono. Il premier Berlusconi, con parole "delicate", commenta: "Si è trattato di una fatalità". Non una parola sul degrado e la fatiscenza delle strutture scolastiche, non una parola sui tagli, oltre 7 miliardi di euro, che vedranno nuovamente vittima la scuola pubblica, non una parola sui regali bipartisan di denaro pubblico alle scuole private. L’arroganza della classe politica che ci governa non è più tollerabile!
Bisognerebbe chiedere scusa, bisognerebbe andarsene a casa, bisognerebbe cambiare marcia. Non sarà certo questo governo, ma forse neanche l’opposizione a cogliere questa esigenza di cambiamento, esigenza che in queste ore vive nelle lacrime e nelle urla di rabbia dei parenti e degli amici di Vito. Ma le lacrime e la rabbia non sono sole, accadono in un mondo, quello della scuola e dell’università, che da settimane il cambiamento non solo lo chiede, ma prova a praticarlo. Le lacrime e la rabbia stanno nel cuore e negli occhi di tutti noi che in queste settimane abbiamo deciso di alzare la testa contro l’offensiva del governo Berlusconi e della ministra Gelmini. "Basta tagli alle nostre scuole, basta tagli alle nostre università!" Questo abbiamo gridato e continueremo a gridare, con la consapevolezza amara che di tagli e di abbandono si muore, così come ci racconta la sciagura di Torino.
Non pagheremo noi la vostra crisi! Il 28 saremo in piazza con tutta la rabbia di chi odia la morte!
(da www.uniriot.org)