Nuovo lager per migranti a Verona
Il governo si appresta a rendere applicabile il decreto sicurezza. Per
poter prolungare il tempo di permanenza nei lager di stato da due a sei
mesi hanno bisogno di più centri. Da quanto riportato sui quotidiani
sembra che i CIE saranno più che triplicati. E in Veneto? Tosi
ribadisce la sua totale disponibilità. Il sito sembrerebbe essere
quello di Boscomantico. La Verona securitaria e ossessionata dal
controllo non si smentisce, produce
giovani nazisti che presto ci troveremo in giro per le strade
formalmente autorizzati, (mentre fino a poco tempo fa erano in giro per
le strade informalmente autorizzati, insomma promossi da branco a
ronda) e si
candida ad ospitare quanto di più barbaro sia stato pensato dal centro
sinistra e "perfezionato" dal centro destra contro il diritto di fuga
dei migranti.
[ Rassegna stampa ]
Verona – Nuovo lager (CIE) per migranti a Boscomantico
Fonte: Corriere della sera – 23/02/2009
Mercoledì la lista completa. I posti saranno più che triplicati
ROMA — Toscana, Veneto,
Campania e poi Marche, Abruzzo, Umbria. La nuova partita del governo si
gioca sui Cie, i centri di identificazione ed espulsione, che bisognerà
rendere disponibili per applicare il decreto sicurezza. La scelta di
prolungare il tempo di permanenza dei clandestini da due a sei mesi
rende infatti necessario poter contare su altre strutture, visto che a
disposizione ci sono appena 1.200 posti. Le trattative con gli enti
locali sono state avviate da tempo e alcuni governatori hanno
manifestato la propria contrarietà ad accogliere gli stranieri
irregolari. Di fronte a queste resistenze il ministro dell’Interno
Roberto Maroni ha già fatto sapere che non ci sarà alcuna marcia
indietro: «Procederemo all’apertura e non tollereremo alcun episodio di
violenza come quelli accaduti a Lampedusa».
La lista definitiva dei Cie sarà stilata mercoledì, durante la verifica
dell’attuazione della legge Bossi-Fini. Ma numerosi sopralluoghi sono
già stati effettuati e al Viminale sembrano avere le idee chiare su
quali potrebbero essere gli edifici da ristrutturare per far sì — come
ha spiegato due giorni fa il sottosegretario Alfredo Mantovano — «che
entro sei mesi siano a disposizione e si possa far fronte ad eventuali
sbarchi». Lontani dai centri abitati, vicini a un aeroporto e —
possibilmente — a un reparto mobile della polizia: sono queste le
caratteristiche che dovranno avere i Centri. Si tratta di aree messe a
disposizione dal Demanio. In Veneto si pensa a Boscomantico, in
provincia di Verona, a pochi chilometri dallo scalo che — sottolineano
al Viminale — «consentirebbe anche la pianificazione rapida dei voli
verso i Paesi d’origine degli stranieri». Problemi potrebbero sorgere
per trovare l’accordo con il governatore Giancarlo Galan, fortemente
critico sugli ultimi provvedimenti presi dal governo in materia di
immigrazione, in particolare sul permesso a pagamento e sulla scelta di
eliminare il divieto di denuncia per i medici. «Non è tollerabile che
ci siano Regioni dove esistono più strutture e Regioni che non ne hanno
neanche una», ha affermato qualche giorno fa Mantovano, riferendosi
pure a Campania e Toscana, dove i vertici degli enti locali hanno un
atteggiamento fortemente contrario. La prima struttura è stata
individuata in provincia di Caserta, in una zona che «ha un
collegamento veloce con l’aeroporto di Capodichino».
Proprio in Campania si è anche deciso di installare la grande centrale
operativa che governerà il sistema informatico per il controllo dei
flussi, utilizzando i fondi del Pon per il meridione. Per quanto
riguarda la Toscana rimangono in piedi due opzioni: la prima è a
Grosseto, dove c’è uno scalo civile, l’altra è a Campi Bisenzio a due
passi da Firenze. Il nuovo Cie delle Marche dovrebbe sorgere a
Falconara. Anche in questo caso si tratta di un’area distante dal
centro abitato, ma vicina all’aeroporto. In Abruzzo sembra ormai
scontata la scelta di una struttura demaniale che si trova nei pressi
di Chieti, mentre in Umbria si è orientati su Terni. I posti
disponibili saranno circa 4.300 con una spesa iniziale che sfiora i 40
milioni di euro, ma i tempi di realizzazione potrebbero essere molto
più lunghi perché alcune aree demaniali sono semplici terreni e in
altre ci sono stabili semiabbandonati che non sono certamente idonei ad
ospitare strutture di questo tipo. Mentre l’opposizione ribadisce la
sua «contrarietà a questi centri di detenzione mascherati» e il
segretario del sindacato autonomo di polizia Nicola Tanzi mette in
guardia «perché saranno utilizzati uomini e risorse sottratti al
controllo del territorio», Maroni tira dritto: «Il comitato
interministeriale stilerà la lista definitiva e poi procederemo».
Fonte: L’Arena – 23/02/2009
Consegnato al ministro l’elenco delle possibili zone
in cui realizzare i centri di identificazione: il Veronese potrebbe
essere una di queste. Tosi già qualche mese fa aveva dato la propria
disponibilità
Verona. Al Viminale si sta mettendo a punto la lista definitiva
dei siti dove verranno costruiti i nuovi Cie, i centri di
individuazione ed espulsione, tra le possibili zone c’è anche un non
reso noto punto della nostra provincia. Un primo elenco è stato
consegnato al ministro Maroni già da alcuni mesi dal capo del
Dipartimento delle libertà civili e immigrazione, il prefetto Mario
Morcone, ed un primo screening è già stato fatto visto che la lista, da
una ventina di siti possibili, è scesa a 8-9. Si tratta nella maggior
parte dei casi di terreni (solo in alcuni vi sono delle strutture,
hangar o ex caserme in disuso, che vanno completamente ristrutturate)
in quelle Regioni dove non vi sono Cie e vicini agli aeroporti: nel
Veneto, in provincia di Verona e di Venezia, in Toscana, nei pressi di
Campi Bisenzio a Firenze e a Grosseto, in Umbria, a Terni, in Abruzzo,
a Vasto in provincia di Chieti, nelle Marche, ad Ancona (Falconara), e
in Campania, in provincia di Caserta.
Si tratterà ora di scegliere
a quali dare la priorità, visto che per attrezzare un Centro in grado
di ospitare almeno duecento immigrati (l’obiettivo è di avere a
disposizione almeno 1.600 nuovi posti) occorrerà almeno un anno. Ma non
è escluso che nel corso della riunione di mercoledì si prenda in
considerazione anche un’altra strada, in attesa di avere le nuove
strutture a disposizione: trasformare alcuni Centri di accoglienza in
Cie. È quello che è già stato fatto per Lampedusa ed è quello che
potrebbe accadere, ad esempio, alla struttura di Cagliari Elmas.
Il
sindaco Flavio Tosi sul progetto aveva già dato la propria
disponibilità al ministro Maroni, sottolineando che «riteneva giusto
che ogni regione per garantire sicurezza dovesse farsi carico di avere
uno di questi centri». Il sindaco aveva inoltre ribadito che il Cie non
avrebbe creato problemi ai veronesi, così come non ne crea il carcere
di Montorio.
Dopo un mese di stop sono ripresi i viaggi delle
carrette del mare nello stretto di Sicilia: due imbarcazioni con oltre
400 clandestini sono state intercettate a sud e a nord di Lampedusa. La
prima l’hanno soccorsa gli uomini della Guardia Costiera a cinquanta
miglia a sud di Porto Empedocle; i 204 immigrati a bordo, tra i quali
40 donne e 7 bambini, sono stati trasferiti nel centro di Pian del Lago
a Caltanissetta, dove andranno – vista l’inagibilità di parte del Cie
di Lampedusa danneggiato dall’incendio appiccato da un gruppo di
tunisini nel corso della rivolta di mercoledì scorso – anche gli altri
175 immigrati, (tra cui 44 donne), soccorsi 30 miglia a sud di
Lampedusa.
Direttamente sull’isola, nei pressi di Punta Sottile,
sono stati invece intercettati dai carabinieri nove immigrati: hanno
detto di esser arrivati con un gommone.
La ripresa degli sbarchi è
un segnale chiaro da parte dei trafficanti di uomini, che non sembrano
intenzionati a fermare il business, nonostante la stretta voluta dal
ministro dell’Interno Roberto Maroni con la decisione di rimpatriare
direttamente da Lampedusa gli immigrati e di prolungare da due a sei
mesi il tempo di permanenza nei Centri di identificazione ed
espulsione. E si tratta probabilmente di quelle stesse persone, «il
racket degli scafisti», che oggi Maroni, in un’intervista a Libero, ha
accusato di essere coinvolte nell’incendio del Cie di Lampedusa. Un
racket, che è «in mano a potenti organizzazioni criminali che, credo,
abbiano capito che in Italia la musica sta cambiando».
programma febbraio 2009 – metropolis
I video dell’incontro con Omri Evron (israeliano, refusnik) e Deeb Elbuhaisi (palestinese)
domenica 15 febbraio 09: Palestina. Resistenze/diserzioni
14 febbraio 09 | paolo ferrarini presenta “paradigmi gnoseologici”
13 febbraio 09 | backgammon quartet live
Vicenza non è un’associazione a delinquere
Alle donne e agli uomini che amano Vicenza
A quanti credono nella democrazia e nella partecipazione
A coloro che, negli ultimi anni, si sono battuti contro la nuova base militare statunitense
Alle associazioni, ai comitati, alle organizzazioni che si riconoscono
nei valori della pace, della giustizia, della libertà di espressione
Alle amministratrici e agli amministratori che rifiutano la trasformazione di Vicenza in città sotto tutela militare
A chiunque non sopporta l’imposizione e l’intimidazione
Appello per una manifestazione in difesa della democrazia e del diritto a opporsi all’imposizione
Sabato 14 febbraio, 14.30
Sono molti mesi che una comunità trasversale di donne e
uomini si mobilita per impedire la realizzazione della nuova base
militare statunitense. Voci plurali, ma univoche nell’amore per la
propria terra; forme e pratiche diverse, a dimostrare la ricchezza e la
diversità che si interseca nella mobilitazione vicentina.
C’è un grande messaggio di libertà e democrazia nel
racconto scritto, giorno dopo giorno, da questa comunità. Libertà nel
voler decidere le sorti della propria terra e del proprio futuro; nel
cercare un domani diverso dalla guerra e dalla cementificazione.
Democrazia nel pretendere di avere diritto di parola, nell’essere
presenti, in prima persona, sulle grandi questioni che coinvolgono il
luogo in cui si abita, ma anche il mondo in cui si vive.
Nelle ultime settimane, parallelamente all’avvio,
all’interno dell’aeroporto Dal Molin, dei lavori per realizzare la
nuova base statunitense, questa comunità è stata delegittimata nel suo
diritto a esistere e a esprimersi. Abbiamo ripetuto e condiviso
innumerevoli volte le ragioni per le quali ci siamo mobilitati; abbiamo
visto i nostri diritti calpestati da chi ci ha impedito di conoscere i
dettagli del progetto e di esprimerci attraverso una consultazione
popolare.
Ma ora ci vogliono togliere la nostra dignità. Negli
ultimi giorni il Governo ha consegnato alla città di Vicenza un
messaggio inequivocabile quanto autoritario: chiunque si oppone, seppur
pacificamente e in modo pubblico, è considerato un deviante da
denunciare e colpire. Tanto che, per le forme di opposizione pacifiche
ma determinate di questi giorni, è stato ipotizzato il reato di
associazione per delinquere.
Nella giornata di martedì 10 febbraio le forze
dell’ordine, guidate dal Questore Sarlo, hanno messo l’area limitrofa
al Dal Molin e l’intero territorio vicentino in stato da coprifuoco
militare. Ogni assembramento di più di 3 persone era considerato
manifestazione non autorizzata e i cittadini minacciati di arresto;
ogni iniziativa di opposizione pacifica al cantiere per la nuova base
Usa è stata considerata violenza. Nessun canale di dialogo è stato
concesso ai manifestanti ai quali sono stati riservate soltanto minacce
e botte e la scuola di polizia è stata trasformata in luogo di
detenzione provvisoria per accogliere i fermati. La città è stata
espropriata del proprio governo cittadino al quale si è sostituito il
diktat del Prefetto e del Questore i quali vorrebbero rendere operativo
il progetto politico del commissario Costa: estirpare alla radice il
dissenso locale.
Ritrovarsi, discutere, condividere, opporsi non è più
il sale della democrazia. La partecipazione democratica contro una
decisione statuale che gran parte dei vicentini avversano da fatto
politico viene trasformata in azione eversiva, come se opporsi
collettivamente alla nuova base militare corrispondesse a costruire un
cartello mafioso.
In questi giorni la nostra città ha subito una profonda
ferita. Ha perso il governo del suo territorio, nella militarizzazione
crescente che ha caratterizzato le aree limitrofe al Dal Molin; ha
subito l’intimidazione di chi vorrebbe costringere i cittadini a
chiudersi nelle proprie case accettando a testa bassa l’ennesima
imposizione.
Vicenza ha, tra i suoi borghi, gli anticorpi
all’autoritarismo; ci appelliamo a tutti coloro che rifiutano questa
situazione e che difendono democrazia e partecipazione per cicatrizare,
collettivamente, questa ennesima ferita. Ritroviamoci sabato 14
febbraio per una manifestazione cittadina in difesa della vocazione
democratica e civile della nostra città. Per il diritto a esprimersi e
opporsi, contro la criminalizzazione di chi vuol continuare, nonostante
tutto, ad amare la propria città.
La città del Palladio non è un’associazione a delinquere; la città del Palladio è uno spazio di democrazia.
Sabato 14 febbraio
Vicenza non è un’associazione a delinquere
Partenza ore 14.30 P.za dei Signori
Per adesioni: comunicazione@nodalmolin.it
Link
www.nodalmolin.it
No Dal Molin: tensioni e cariche ai blocchi dei lavori
I cittadini e le cittadine contro il Dal Molin si sono svegliati presto questa mattina.
Il primo tentativo di blocco, nei pressi di viale Ferrarin (dove la polizia ha vietato di manifestare, così come in viale Dal Verme) è impedito dai moltissimi poliziotto in assetto antisommossa. Momenti di tensione sfociati in una prima carica intorno alle 6. Per aggirare l’ostacolo "polizia" una parte dei manifestanti decide di spostarsi a Montecchio Precalcino, dove si trova la ditta Carta Isnardo, che ha preso un subappalto dalla CMC (una delle due cooperative "rosse" vincitrici dell’appalto dei lavori per la nuova base americana).
Immediato l’arrivo dei celerini, sempre nervosi e pronti a caricare. La polizia minaccia di arrestare tutti i presenti.
L’atteggiamento violento, che chiude qualsiasi spazio di agibilità democratica a chi sta manifestando non ferma però la determinazione del movimento No Dal Molin. I blocchi, in forme e modi diversi continuano.
Dichiarazione di obiezione di Omri Evron, giovane israeliano, refusnik
Quello che segue è il testo della dichiarazione di obiezione di Omri Evron. Omri sarà al metropoliscafè, via Nicola Mazza 63/A Verona, domenica 15 febbraio alle ore 18.00. Con lui, sarà presente anche il dott. Deeb Elbuhaisi, giovane medico palestinese (Gaza) che lavora e studia a Verona.
Tel Aviv 12 ottobre 2006
Io, Omri Evron, rifiuto di servire
nell’esercito perché sono fedele ai miei principi morali. Mi
rifiuto di arruolarmi per protesta contro la lunga occupazione
militare del popolo palestinese, un’occupazione che acuisce e
semina terrore e odio tra i popoli. Mi oppongo a partecipare alla
crudele guerra nei territori occupati, una guerra finanziata per
proteggere le colonie israeliane e mantenere l’ideologia del
“Grande Israele”. Mi rifiuto di servire un’ideologia che non
riconosce i diritti di tutte le nazioni all’indipendenza e alla
coesistenza pacifica. Non sono in alcun modo pronto a contribuire
all’oppressione sistematica di una popolazione civile e alla
deprivazione dei loro diritti – come è portata avanti dal regime
di apartheid e dai militari israeliani nei territori occupati. Sono
offeso dalla morte per fame e dall’incarcerazione di milioni di
persone dietro a muri e posti di blocco. Mi rifiuto di arruolarmi
perché non credo che la violenza sia una soluzione e che la guerra
porti la pace.
Mi rifiuto di servire l’industria
delle armi, le mega corporations, gli avidi appaltatori, i
predicatori del razzismo ed i leader cinici il cui business è la
continuazione della sofferenza e che derubano i popoli dei loro
basilari diritti umani. Mi rifiuto per cercare di attirare
l’attenzione sul fatto che non tutti sono pronti ad essere
indottrinati e cooptati da cause nazionaliste e razziste. Con questo
atto voglio esprimere la mia solidarietà a tutti i prigionieri per
la libertà in questo mondo. Mi rifiuto di credere alle bugie che
scavano divisione ed antagonismo tra i lavoratori dalle due parti del
confine, in modo che essi non possano unire le loro mani nella lotta
per i loro diritti. Vorrei che la mia obiezione fosse un messaggio di
pace e solidarietà, che fosse un richiamo per tutti quelli che
uccidono – e vengono addestrati ad uccidere nell’interesse di
qualcun altro – a deporre le armi e unirsi alla lotta per un mondo
più giusto.
So che questo mio atto è un’infrazione
della legge israeliana, ma sono costretto ad oppormi dai miei valori
democratici, umanitari ed egualitari. La legge militare su milioni di
Palestinesi non è democratica. E’ mio compito oppormi a qualunque
legge che renda possibile privare altri dei loro diritti e della loro
libertà, o di trattarli con una violenza che nega la loro
fondamentale umanità.
Rifiuto la guerra nazionalista “per
la pace delle colonie”.
Rifiuto l’oppressione sistematica e
l’umiliazione dei civili.
Rifiuto l’occupazione e la legge
militare che impedisce ad una popolazione civile di determinare la
propria sorte.
Rifiuto l’apartheid ed il regime
razzista.
Rifiuto di considerare un popolo mio
nemico per ragioni di razza, origine etnica o religione.
Rifiuto di prendere parte al ciclo
sanguinoso che distrugge entrambi i popoli.
Rifiuto per richiedere solidarietà
internazionale per la pace ed il benessere di tutte le nazioni che
vogliono vivere in libertà e libere dallo sfruttamento,
l’oppressione e la guerra.
Rifiuto di uccidere! Rifiuto di
opprimere! Rifiuto di occupare!
Dichiaro la mia fedeltà alla pace e
rifiuto di servire la guerra e l’occupazione
(Da: http://www.rete-eco.it)
No Dal Molin: martedì 10 febbraio blocco totale
Martedì 10 febbraio daremo vita alla prima giornata di
blocco totale dell’accesso al Dal Molin; fermare i mezzi che entrano e
escono dai cancelli di Via Ferrarin significa impedire il proseguimento
di lavori illegittimi e illegali. L’appuntamento è per le 6 del mattino
alla rotatoria tra Viale Dal Verme e Via Ferrarin dove tutti i mezzi
diretti al cantiere sono costretti a circolare.
Non si può imporre un’infrastruttura militare contro la
volontà della comunità locale; Vicenza ha già dimostrato in più
occasioni – sondaggi, manifestazioni, consultazione popolare – la
propria contrarietà alla nuova base statunitense. Di fronte
all’imposizione del progetto i cittadini hanno il diritto di difendere
il proprio territorio e il proprio futuro bloccando il cantiere.
La settimana appena conclusa ha dimostrato la
trasversalità dell’opposizione che ha unito generazioni diverse; ha
insegnato che opporsi pacificamente, ma con determinazione, è
possibile. Il commissario Costa, nella sua opera di imposizione del
progetto, credeva di trovarsi di fronte a innocui “magnagati”, incapaci
di difendere i tesori della propria terra. Negli ultimi dieci giorni
Vicenza ha portato in piazza la sua dignità: quella di una città che
non vuol essere considerata da nessuno una colonia.
Il 17 febbraio 2007 decine di migliaia di vicentini
espressero il proprio desiderio di vivere in una città senza basi
militari; insieme, cercheremo di far diventare quel sogno realtà.
Opporsi alle demolizioni per costruire la città che vogliamo: Vicenza
non si arrende.
*Appello*
Ci rivolgiamo a tutte
e tutti le/i vicentini: partecipate, fate partecipare amici e parenti,
se possibile prendete permessi dal lavoro. Dobbiamo difendere la nostra
terra da una nuova base di guerra! Inviate questa mail alla vostra
rubrica, spedite sms. Questa è casa nostra, noi la difenderemo!
Il 17 febbraio 2007 dicevamo che "se si sogna da soli è
solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia"; nei
prossimi giorni e nelle prossime settimane possiamo costruire la realtà
che vogliamo: una terra senza nuove basi militari.
Martedì 10 febbraio
dalle 6.00 alle 18.00 c/o rotatoria Via Ferrarin-V.le Dal Verme
Difendiamo Vicenza, fermiamo il cantiere
Presidio Permanente
Vicenza, 8 febbraio 2009